Italy: Anarchist Black Cross — Document read out during the meeting in Turin (21/01/2017) [en]

As happens any time that power tries to block the path of the revolt that creeps like weeds, opening up cracks and disconnecting the straight secure roads of exploitation and oppression, it is necessary for those who still care about the life pulsating in those weeds to look each other in the eye.
Following the operation denominated ‘Scripta Manent’ we, some anarchists, decided to do a number of meetings. Those held in Pisa and Rome have produced various problematics. But obviously, happening in a context of ‘emergency’, i.e. in response to the arrest of eight anarchist comrades, it was difficult to find the space to go into them. Not for that should we lose the opportunity to find this space and create moments for deeper analysis.
The last phrase of the text calling for this series of meetings that started from Pisa read: ‘We believe that those who see the responsibility to claim the anarchist idea, its tensions and practices as their own need to meet up and discuss.’ Let’s ask ourselves a question: why do we consider this responsibility ours at the present time?
Our answer is clear. These past years in particular have been strongly characterised by a progressive shallowness that in time has led to victimization, dissociation, silence in regard to the latter, specific divisions between good boys and bad anarchists, etc. etc.
So, today more than ever, we think it is fundamental to firmly take our responsibilities as individuals who do not submit to resignation, expressing our will to re-establish what the anarchist struggle is.
Among the many things, remaining shoulder to shoulder with our comrades also means collectively taking on everything that they are charged with as part of our own struggle/life.
That’s why we are convinced that occasions such as this encounter and the previous ones, where, as anarchists, we talk to prepare an event but also look beyond the cycle of repressive operations, should be supported and promoted.
The trajectory that the State wants to put on trial by holding Marco, Danilo, Anna, Valentina, Sandro, Alfredo, Daniele and Nicola hostages is our own. We therefore call for a proud presence at the trial, always knowing that the struggle, the real one, the living one, is carried out at other levels.
We think that solidarity is a word that has been abused and now even causes confusion; what we have at heart is to continue to do what we’ve done in the past and create the occasion to carry on in the future. Free from any sense of devotion, let’s get rid of the logic of having to do solidarity; we don’t think that there is anything particular about staying close to comrades who are temporarily held in a phase that one consciously risks by living anarchy, and we are sure that any well-delivered blow creates a crack in the walls that dominion erects to keep us down inside and outside its cages.

Croce Nera Anarchica

(translated by Act For Freedom Now!

Nuovo archivio delle edizioni in lingua inglese “Elephant Editions” (Lavori in corso) [it]

archive.elephanteditions.net

Quando le parole si mescolano con la passione di approfondire la nostra comprensione della realtà, diventano armi indispensabili per l’auto-organizzazione della lotta contro tutto quello che ci opprime. Non rimangono solo sulla carta – o sullo schermo – ma penetrano nei cuori e spiriti ribelli, donando coraggio e risolutezza – se molti di noi non reagiscono contro ciò che viola la nostra dignità spesso non è per mancanza di coraggio, ma perché semplicemente non sappiamo da dove iniziare.
Dobbiamo liberare la realtà dalla dimensione fittizia creata dai media, per renderla tangibile ed esposta all’attacco. Per poter raggiungere questo abbiamo bisogno di conoscere il nemico in tutte le sue forme, incluse quelle che giacciono nascoste dentro di noi, accovacciate, aspettando di balzare per spingerci indietro nell’ovile del consenso o dissenso governabile. Leggere certi testi diventa un incontro, le tensioni che sentiamo bruciare dentro diventano più chiare, e diviene più facile assimilarle per passare all’attacco.
Abbiamo bisogno anche di analisi – dell’economia, delle “nuove” tecnologie. Senza le nostre, proprie idee, analisi e progettualità non siamo nulla, mere astrazioni che costruiscono castelli in aria.
Attacco e teoria dell’attacco, che è la stessa cosa per gli anarchici, rappresentano gli elementi essenziali di lotta, senza i quali esisterebbe solo di nome. Perciò, abbiamo bisogno anche della critica dei metodi anarchici: delle fisse organizzazioni anarchiche di sintesi, del sindacalismo o delle federazioni che poggiano sui numeri, dato che sono limitative e anacronistiche in termini di attacco. Nello stesso tempo, abbiamo bisogno di una critica delle organizzazioni clandestine fisse e dell’“attacco al cuore dello Stato”, prevalenti negli anni Settanta, e di valorizzare i piccoli gruppi basati sull’affinità, sull’agire diretto, per trasformare la realtà senza nessun senso di sacrificio, ma per la propria gioia e libertà immediata, nel contesto della libertà per tutti.
L’anarchismo non è un concetto storico o una teoria politica, è un modo di concepire la vita, “una scommessa che dobbiamo giocare giorno dopo giorno”, e non consideriamo la storia come fondamento – o “fare la storia” l’obiettivo – della nostra azione. Tuttavia, gli anarchici possiedono un ricco e passionale passato, o meglio lascito, che diventa nostro solo quando lo incontriamo attraverso il proprio confronto con l’autorità e il dominio. Lontano dai tediosi tomi scolastici, le vite dei compagni del passato, le loro idee, i loro metodi e le loro azioni, le loro lotte e le conseguenze (spesso il carcere o addirittura la morte) vivono e possiedono per noi un significato oggi, mentre cerchiamo di lottare contro le condizioni del capitale post-industriale. Per questo motivo abbiamo pubblicato, e continueremo, anche testi dei o sugli anarchici e ribelli del passato, che hanno ancora oggi molto da dire quando si incontrano attraverso una dimensione di scambio di idee ed esperienze tra chi legge e chi scrive.
Quindi, Elephant Editions è semplicemente una collezione di testi, un contributo nel grande calderone di sogni, idee e sperimentazioni per coloro che hanno deciso di trasformare i loro desideri in realtà, adesso, senza rimandare.


Novi arhiv izdanja na engleskom jeziku “Elephant Editions” (Radovi u toku)
Kada se riječi pomiješaju sa strašću za produbljivanjem našeg shvaćanja realnosti, one postaju neophodno oružje za samo-organizaciju borbe protiv svega što nas ugnjetava. Ne ostaju na papiru – ili na ekranu – već prodru u pobunjenička srca i duhove, pružajući hrabrost i odlučnost – jer ako mnogi od nas ne djeluju protiv onoga što vrijeđa naše dostojanstvo često nije zato što im nedostaje hrabrosti, nego jednostavno jer ne znamo odakle početi.
Trebamo osloboditi realnost od fiktivne dimenzije koju su stvorili mediji, kako bi postala opipljiva i izložena napadu. Da bi to postigli trebamo upoznati neprijatelja u svim njegovim oblicima, uključujući i one koji leže sakriveni unutar nas, šćućureni, čekajući da iskoče i povuku nas nazad u tor suglasja ili podatnog otpora. Čitanje određenih tekstova postaje susret, tenzije koje osjećamo da gore u nama postaju jasnije, čime ih lakše asimiliramo kako bi prešli u napad.
Trebamo i analize – ekonomije, “novih” tehnologija. Bez naših vlastitih ideja, analiza i projekata mi smo ništa, puke
...

Carcere di Korydallos – Atene [Grecia]: Lettera dell’anarchico Giorgos Karagiannidis sullo sciopero della fame (12/2015) [it]

Lo sciopero della fame cela la sua importanza. L’importanza che proviene dalla combinazione dell’indebolimento fisico e debilitazione degli scioperanti, e dalle azioni/reazioni che si creano. Questi due fattori sono di solito (ma non per forza sempre) connessi.
L’incisività nascosta nell’atto di sciopero della fame crea delle sezioni sia nel nostro ambiente, che tra i detentori dell’autorità statale. Il principale obiettivo dei ogni sciopero è la creazione di flussi nel terreno sociale. Fino ad oggi, in Grecia, la gestione statale degli scioperi della fame è stata relativamente “indolore” (in confronto agli esempi che hanno scritto la storia degli scioperi della fame). Gli scioperanti hanno raramente raggiunto dei veri limiti critici, anche se questo, ovviamente, non rappresenta nessun tipo di garanzia per i futuri scioperi. Questo prevenire di situazioni estreme non proviene da qualche tratto morale dei funzionari istituzionali. La moralità non è una condizione indipendente, è determinata dai rapporti di potere sul campo di guerra, che stiamo conducendo. Se il concetto del costo politico non esistesse, nessun Stato, neanche quello greco, avrebbe dei problemi a lasciar morire gli scioperanti. Ma il costo politico viene bilanciato anche in rapporto al risultato di una parziale soddisfazione delle richieste degli scioperanti.
Inoltre, anche se di rado, specialmente negli ultimi anni a seguito della grande ondata di arresti degli anarchici, le richieste degli scioperi della fame sono state accettate completamente. Questo dimostra che nel conflitto caratterizzato dallo sciopero della fame, quello che viene richiesto da entrambe le parti è l’equilibrio, solido ma nello stesso tempo fragile. La fragilità di questo equilibrio dipende dal livello di competizione che ogni volta si sviluppa, cioè dall’organizzazione, determinazione e perseveranza che ogni parte dimostra per difendere le proprie posizioni. Si potrebbero dire molte cose sul modo in cui lo Stato (parlando specificamente della Grecia), a prescindere da chi gestisce il potere, affronta gli scioperi della fame, e soprattutto quelli che mostrano caratteristiche politiche, portando al conflitto politico e all’agitazione sociale. Ma ho pensato che una cosa del genere mi avrebbe portato solo ad un vagare fino a stancarmi, dato che in tutti gli scioperi della fame, sia durante il loro processo che anche (e soprattutto) alla conclusione, questo tema è stato discusso a sufficienza. Quello che io considero più importante è invece osservare con la calma i modi in cui noi percepiamo, caratterizziamo e analizziamo gli scioperi della fame. Uno sguardo sui nostri punti deboli, più visibili dopo uno sciopero della fame, a causa della polarità che li ha preceduti.
Come ogni nostra azione anche lo sciopero della fame presenta una duplice natura. Non risponde solo alle domande croniche o emergenti, ma contemporaneamente mette in moto questioni sul chi siamo, in che modo ci organizziamo, come lottiamo, che tipo di relazioni creiamo nei momenti di un periodo di intenso conflitto con lo Stato. Ed ognuna di queste domande, e tutte le altre che emergono, non possiedono solo una risposta, dato che ogni individuo o soggetto collettivo le concepisce in modi diversi. Ogni sciopero della fame inizia con una decisione che possiede una profonda dimensione esistenziale. La continua lotta che si svolge tra il corpo e la mente, tra la volontà di resistere e gli istinti di sopravvivenza, è una condizione molto particolare che logora lo scioperante, non solo fisicamente, ma anche dal punto di vista spirituale/emotivo. Il nostro organismo, come un’insieme indivisibile, viene influenzato in quanto tale dal procedimento dello sciopero. La possibilità di morire è qualcosa che ogni persona dedita alla prospettiva rivoluzionaria ha sempre in mente. Però, lo sciopero della fame possiede la peculiarità che la morte non sembra più essere un momento distaccato, casuale o imprevedibile, ma una fine con un corso predeterminato, con possibilità che in effetti aumentano ogni giorno che passa. Questo mezzo possiede anche un’altra peculiarità. Di per sé non può in nessun modo colpire il regime.
Anche se può suonare eretico, io penso che lo sciopero della fame è un mezzo di lotta introverso, auto-distruttivo e riformista, a prescindere dal livello di combattività e determinazione con cui viene portato avanti, anche se raggiunge la morte dello scioperante/degli scioperanti. La natura riformista dello sciopero della fame innanzitutto proviene dal suo inizio, dato che punta a rafforzare la nostra posizione in una negoziazione, ricattando gli agenti statali. E dal momento che stiamo parlando della negoziazione, ci si aspetta che ci saranno anche degli accordi, compromessi e addirittura riduzioni delle nostre richieste originarie. Dal momento che ci stiamo rivolgendo, anche con ricatto, agli agenti statali, chiedendo di soddisfare delle nostre richieste, noi riconosciamo all’autorità istituzionalizzata il potere di fornire delle soluzioni. Inoltre, ogni sciopero cerca di soddisfare alcune richieste nel dato contesto, senza la capacità di distruggere
...

Grecia: Lettera dell’anarchico detenuto Giannis Naxakis – Sullo sciopero della fame (09/2015) [it]

Alla conclusione del processo d'appello per la rapina della banca di Pirgetos, Giannis Naxakis è stato rilasciato dal carcere di Domokos. Il compagno ha scontato 1/3 della sentenza iniziale ed è stato rilasciato il 16 gennaio 2017 con misure restrittive.
GIANNIS, BEN TORNATO IN STRADA!
FORZA A TUTTI GLI ANARCHICI COMBATTENTI IMPRIGIONATI

Act For Freedom Now!

Per poter iniziare a parlare dello sciopero della fame devo innanzitutto trovare i motivi che hanno dato vita ad un tale metodo come strumento di protesta/pressione, per poterlo meglio comprendere e, di conseguenza, interpretarlo nel presente. Le posizioni sullo sciopero della fame potranno essere comprese solo seguendo questo.
Tornando, quindi, indietro nel tempo, posso semplicemente immaginarmi una situazione in cui una persona (o persone) non aveva nessun’altra opzione per esprimere la propria rabbia contro la repressione subita, perché tutti gli altri mezzi erano stato esclusi in un modo o in un altro, e quindi scelse di procedere per questa via. Posso immaginare una persona che avendo esaurito tutti i mezzi attivi a sua disposizione le era ormai praticamente impossibile intraprendere un’altra via che rifiutare il cibo. Ovviamente, questa persona sarà stata in una condizione di isolamento o di restrizione, dato che non aveva semplicemente lasciato il luogo di repressione. Infatti, immagino che questa prima persona non aveva neanche la capacità di muoversi liberamente, forse perché era stata picchiata o isolata, e allora aveva escogitato questo estremo modo di reagire, un modo di autodistruzione passiva, scommettendo sul ricatto degli oppressori. Non sono in grado di valutare se questo ricatto era di natura emotiva o puramente pratica, dato che non so a quale periodo mi sto riferendo, ma sono propenso al secondo. Sono quasi certo che la prima persona che sperimentò questo sia morta. Posso solo presumere che una morte simile, ad un certo punto, non andava più bene agli oppressori, suppongo per motivi pratici (forse volevano utilizzare questa persona per lavoro/schiavitù), che corrisponderebbe alla logica di un’epoca remota.
Questa insoddisfazione dell’allora potere dominante probabilmente divenne ben nota e si diffuse come l’incidente che segnò l’inizio di riproduzione sporadica del fenomeno “sciopero della fame”. Per giunta, con la graduale democratizzazione di alcune società, una morte simile non era più conveniente, ma non per motivi pratici (per i quali avrebbero probabilmente fino ad allora già preso dei provvedimenti), bensì per ragioni umanitarie, mettendo in gioco addirittura la retorica del regime, cioè la democrazia, e quindi la posizione dei suoi funzionari.
Assieme alla democrazia prematura e i suoi “diritti”, lentamente emerse anche la questione dei diritti del nemico. Si tratta di una contraddizione logica che emerge quando un sistema di potere, e perciò di ineguaglianza, fonda la sua posizione sulle teorie di eguaglianza.
Così, arrivando ai giorni nostri, alle condizioni del territorio greco negli ultimi anni, percepisco quantomeno una degenerazione in relazione all’“estremo”, che partorì questo mezzo passivo. Naturalmente, il vero significato dell’“estremo” può
...

Carcere di Fleury-Mérogis [Francia]: Lettera dell’anarchico Damien Camelio – “Contributo per un dibattito sulla giustizia” (01/2017) [it]

Avendo appreso che il 9 gennaio si svolgerà a Parigi un dibattito sulla giustizia, vorrei provare a parteciparvi per lettera, anche se non ho alcuna informazione sul tenore del dibattito visto che mi sono stati rifiutati sia i permessi di visita che i contatti telefonici.
Il tema della giustizia pone una moltitudine di questioni, quella sulla repressione, quella dell’autorità, della reclusione, del mantenimento della classe dominante e dell’ordine, della sottomissione e della ribellione, evidentemente legato a quello della difesa e dell’attacco, della rassegnazione o della dignità, dell’inazione o della vendetta.
Questa scelta personale appartiene ben inteso ad ogni individuo ed io non mi voglio certo presentare come colui che impartisce lezioni a qualcuno, né come martire o eroe che certo non sono. Non parlerò che della mia propria scelta che non è motivata da un dovere rivoluzionario fantasma, ma dalla volontà, dalla necessità che mi è propria di sentirmi più libero, più degno, più vivo di quanto non vorrebbero i miei carcerieri.
Il mio bagaglio intellettuale e teorico è relativamente limitato, ma la mia vita rassomiglia piuttosto a quella di una canaglia che a quella di un universitario, misuro a gran passi i corridoi dei tribunali dall’età di tredici anni e quelli delle prigioni dall’età di 17.
Queste osservazioni sono dunque il frutto più della mia esperienza personale, molto soggettiva, che quelle di uno che ha una certa postura ideologica prestabilita. Anche se oggi mi riconosco nell’anarchia non ne avevo la minima conoscenza quando, ancora bambino, ho conosciuto la mia prima detenzione con un fermo di polizia.
Fin da giovane, sono sempre stato contro le ingiustizie, contro coloro che le permettono e possiedono tutto, e contro coloro che li proteggono, ed è così che ho appreso a spogliare i primi e ad attaccare i secondi. Tra noi canaglie abbiamo un proverbio: 9 volte per te e una volta per gli sbirri. (?) È inevitabile, nella guerra sociale, asimmetrica per definizione, il minimo choc frontale ci sarà fatale perché loro sono
...

Riproducibilità, diffusione dell’attacco e l’organizzazione informale [it]

“Negación” #8, settembre 2016 [tradotto dal messicano e pubblicato in inglese da “Avalanche” #8, settembre 2016], “Riproducibilità, diffusione dell’attacco contro il potere e alcuni punti correlati”

“Avalanche” #9, dicembre 2016, “La riproducibilità dell’attacco e l’organizzazione informale”


“L’immagine mediatica del “terrorista” lavora assieme alla polizia per difendere la pace sociale. Il cittadino applaude o si impaurisce, ma rimane sempre un cittadino, cioè uno spettatore. “La lotta armata” si presenta come una forma superiore di scontro sociale. Colui che è militarmente più caratteristico – secondo l’effetto spettacolare delle azioni – rappresenta l’autentico partito armato. Lo Stato, da parte sua, ha tutto l’interesse di ridurre la minaccia rivoluzionaria ad alcune organizzazioni armate per trasformare la sovversione in una battaglia campale tra due eserciti. Quello che il dominio teme è la rivolta generalizzata e anonima [...]”
“Una cosa è che gli anarchici possiedono armi, l’altra, molto differente, è essere un gruppo armato. [...]”

11 marzo 2009, un video intitolato “19 secondi di guerra sociale” è stato caricato on-line da qualche anonimo. Nel video tre combattenti anonimi, a viso coperto, mostrano con quale semplicità ed efficacia è possibile attaccare coloro che distruggono le nostre vite. Per attaccare una banca in un paio di secondi, bastano due martelli, una bomboletta e determinazione. Forse al momento l’aspetto più rilevante del video era l’approvazione riscossa su YouTube, bastava vedere i commenti per farsi un’idea. Ma dal punto di vista odierno la cosa più rilevante era, secondo noi, l’ondata di sabotaggi effettuati nella capitale messicana (e sicuramente anche nelle altre regioni) dopo la diffusione di questo video. La diffusione del sabotaggio non era casuale, era dovuta alla semplicità con cui questo simbolo di dominio veniva attaccato, e alla facilità con cui certi mezzi possono essere ottenuti; questo significa: riproducibilità.
Per un lungo periodo la maggioranza dei sabotaggi, che informalmente e anonimamente – o alcuni rivendicati – inondarono la Città del Messico e altre regioni del paese, condivideva una caratteristica che andava oltre ogni rivendicazione. Questa caratteristica consisteva nel fatto che gli attacchi erano realizzati con mezzi facilmente riproducibili, quindi accessibili ad ogni compagno o ad ognuno che sente il bisogno di attaccare quello che ci opprime e ci sfrutta. Anche oggi molti attacchi vengono realizzati in questo modo, potenziando la loro diffusione.
In un progetto di lotta insurrezionale e informale che intende diffondersi a, diciamo, livello sociale, ma anche tra i compagni, un elemento necessario e indispensabile è la riproducibilità. Concretamente, riproducibilità significa che gli atti di sabotaggio vengono realizzati con mezzi (ordigni incendiari, armi esplosive o altri strumenti) che possono essere facilmente costruiti e utilizzati, quindi facilmente ottenibili per ognuno. L’intento, oltre a questo, è che il sabotaggio possa essere a disposizione di tutti, che ogni persona possa accedere all’attacco contro quello che la reprime, e che non deva andare in cerca di gruppi già formati (e talvolta spettacolari) per imparare a fare delle cose. La riproducibilità si riferisce all’individuo che trova i mezzi per agire, incontrando compagni affini con i quali condividerà il sapere, discutendo cose prima e dopo l’azione.
Quando parliamo di informalità non parliamo solo di un metodo organizzativo di lotta anarchica, ma parliamo anche di uno strumento con cui l’individuo acquisisce un’autonomia assoluta, e perciò non è obbligato ad assoggettarsi all’ideologia del gruppo – gruppi che spesso presentano tinte autoritarie, ma ben camuffate da “libertarie” o “autonome”, inseriti nella necessità di passare all’attacco, subentrando nei progetti anarchici o individuali, per poi dopo sommergerli in una logica di sottomissione ad un apparato centrale. Ma è precisamente attraverso la discussione, la riflessione e la critica che l’individuo incontra il bisogno di convergere con altre individualità uniche, o con
...

Francia: “Di nuovo al gabbio … “ – Lettera di Damien dalla prigione di Fleury-Meregis (14/12/2016) [it]

Vi scrivo da Fleury dove sono incarcerato in detenzione preventiva. I capi di imputazione secondo una loro abitudine si assommano e sono denudati di qualsiasi fantasia, io preferisco che i compagni e le compagne abbiano una visione giusta e realistica dei fatti che mi sono contestati, propongo quindi la rilettura di un resoconto di quella bella notte di primavera di rivolta scritta dai o dalle amanti del disordine: “resoconto del 14 aprile: cercando di contenere in maniera eccessiva la rabbia questa finisce per esplodere bene e come si deve.”
Non ho alcuna intenzione di lamentarmi, non vi racconterò nei dettagli il mio arresto identico a tutti quelli che hanno luogo qui come altrove in tutto il mondo.
Mi sembra tuttavia necessario esprimermi su alcuni punti precisi.
Al momento della perquisizione gli sbirri hanno trovato del materiale di propaganda anarchica, nella fattispecie giornali, opuscoli, manifesti, volantini e qualche testo in corso di traduzione. Ho rifiutato di firmare i fogli della perquisizione così come quello della mia detenzione preventiva.
Una volta trasferito a Parigi nel 19esimo arrondissement il mio avvocato non era raggiungibile.
Ho rifiutato di essere rappresentato da un altro avvocato e quindi sono stato interrogato senza la presenza di avvocato. Ho fatto questa scelta perché la mia dichiarazione alla sbirraglia si basa su una sola riga: “non sono né innocente né colpevole, sono anarchico, non ho niente altro da aggiungere”.
A causa della mia mancata dichiarazione non posso sapere, attualmente, cosa ci sia nel mio dossier di istruzione.
I tirapiedi del potere mi hanno solo notificato che hanno 8 prelievi di DNA che corrispondono al mio profilo genetico ed io so, per averlo visto, che il dossier d’istruzione è un mattone di 6 o 7 cm di spessore.
Aspetto che il mio avvocato possa avervi accesso e che venga anche a farmi visita per aver maggiori informazioni. A prescindere da ciò che avverrà ho già
...

Paroxysm of Chaos
Dissacrazione della universalità e il significato teatrale della rappresentazione di civiltà Prologo [it]

Nell’area geografica dove mi trovo (e non solo) vi è una necessità di sfida verso una totale morte mentale e pratica, che ci circonda sull’isola-carcere, distruggendo l’idolo socialmente costruito e penetrando in una battaglia che dal punto di vista materiale di sicuro non può essere vinta. Scambiando esperienze e strumenti, e sfruttandoli appieno in qualsiasi modo possibile, non fermandosi neanche quando si è in ginocchio dalla disperazione, creando rotture interne ed esterne nella realtà. Una realtà che ha consolidato la fiducia negli sbirri e nella Legge, l’auto-repressione fondata sulla logica sociale dell’“uguaglianza”, i delatori e i cittadini “cani da guardia” chiamati ronda di quartiere, le telecamere anche su luogo più stupido che si possa immaginare, il multiculturalismo con la morale dell’umanità e la “gioia” di essere un cittadino libero, il sacrificio dei desideri dell’individuo sull’altare del consumo (mentale e materiale), l’estremo addomesticamento di animali non-umani che possono essere commercializzati e il genocidio di coloro che rappresentavano una minaccia all’umanità civilizzata, quindi trasformando qualsiasi terreno rimasto in un paesaggio quasi sterile. Creando anche riserve naturali, carceri per l’ambiente terrestre, ma anche per individualità non umane, che funzionano come l’ideologizzazione totale del controllo Umano su tutto. La logica della carcerazione ideologizzata è impiantata ovunque intorno a noi. Ma anche la logica del vittimismo.
Un anarchico flusso della vita, da un punto di vista nichilista egoista, può essere creato anche da una persona sola. Da individualità che si muovono da ombra in ombra, impegnate nella parola e nell’azione, cercando di attuare la propria evoluzione decivilizzata, all’interno di un errare nello sconosciuto senza un’obiettivo finale. Il ruolo primario è solamente la soddisfazione del sé, il tentativo di autentiche relazioni con altri animali, umani e non-umani, ma anche con i magnifici ambienti dei campi terrestri all’infuori dell’interpretazione sociale, la coerenza di non costruire al di là di essere sé stessi e il piacere dell’auto-realizzazione con tutti i mezzi a propria disposizione, portando ogni sensazione e ogni momento agli estremi. Contro ogni civiltà e cultura, riconoscendo naturalmente che i propri elementi sono stati creati da qualche parte, ma cercando comunque la soddisfazione nell’attacco ad ogni costrutto antropocentrico, che in epoca odierna governa ogni essere umano, e perciò emergono anche solo per un attimo dalla palude di ogni civiltà umana.
Io penso ed agisco a mio modo personale, e non secondo i modi dei retorici di propaganda. Il mio nemico non è qualunque cosa rappresenti “l’autorità”, questo spettro della maggior parte di anarchici, in un sterile modo materialista o come un “ripulire” da comportamenti “cattivi”, ma è tutto ciò che rappresenta il carcere e un governo per la mia individualità. Quello che incorona il “dovere” e la Verità. L’autorità è interna, non esterna dagli umani, quando le idee creano le astrazioni che ci richiedono qualcosa, manifestandosi in questo modo nel mondo reale. L’autorità è lo standard interiorizzato. Non è quel mondo “malvagio” che deve essere “esorcizzato” per salvare la “purezza” universale. Il “mondo” non mi interessa, non mi ha mai interessato. La crociata contro “l’autorità” appartiene ai soldati di qualunque ideologia. Non parlo il linguaggio “antiautoritario”! Non parlo di eguaglianza tra ideologie anarchiche, ma della completa distruzione di ideologia fino alle sue radici, che non può essere raggiunta su scala mondiale, ovviamente. Ero caduto in trappola credendo che qualcuno non pensava politicamente, come me, ma mi ero sbagliato. Però, non importa, le conclusioni sbagliate ci rafforzano se non ci abbandoniamo alla mercé della delusione.
La civiltà capitalista è l’evoluzione della vita per coloro che capiscono cos’è la massa e come realizzare l’ascesa del proprio potere. Sono contro di loro non perché un’anarchica morale cristiana mi dice di eliminare “l’autorità” dalla faccia della terra, ma perché dentro questa realtà di controllo e di dominio del sistema, la mia individualità annaspa. Ognuno vuole creare gli zeloti. Addirittura gli anarchici, ma quando vedono il veleno
...

Zografou – Atene [Grecia]: Attaccata ditta di sicurezza (30/11/2016) [it]

Nella mattina del 30 novembre abbiamo attaccato con martelli e fiamme l’ufficio della ditta di sicurezza S.C.S., situata nel quartiere di Zografou ad Atene.
Le aziende di sicurezza private giocano un ruolo di para-polizia, facendo profitto vendendo paura e promuovendo delazione e collaborazione con la polizia.
Per queste ragioni, e non solo, non ci è stato difficile sceglierli come meta. Con questa azione abbiamo dimostrato anche che questa ditta è inutile e che i suoi servizi sono solo un’illusione, dato che non sono capaci di proteggere neanche sé stessi. Nessun loro strumento umano o meccanico di controllo può fermare coloro che desiderano attaccare l’esistente.
Con questa azione vogliamo esprimere il sostegno alla chiamata contro il Summit G-20, che si svolgerà ad Amburgo tra il 7 e 8 luglio 2017. Ma anche il 7 e 8 luglio, come i mesi precedenti, possono rappresentare un punto d’incontro tra i compagni, ovunque nel mondo, e nello stesso momento un punto di partenza per una campagna in cui si possono affilare le tensioni e creare nuovi punti di rottura, senza limiti di tempo o frontiere. Scegliamo noi come, quando e dove, senza aspettare qualcuno o qualcosa. Perciò, pensiamo che si tratti di una buona occasione per esprimere, attraverso le rotture, le nostre pratiche e discorsi, sormontando la Sinistra e gli onesti cittadini, che cercheranno nuovamente di allestire il proprio carnevale, trasformando la mobilitazione in una festa democratica e pacifica.
Vogliamo essere chiari, non sosterremo questa chiamata perché vogliamo un “mondo migliore” né un governo più giusto, leggi più umane o uno Stato migliore. Tutti questi valori riformisti e cristiano-filantropici se ne possono andare al diavolo!
Sosteniamo questa chiamata perché crediamo che attraverso lo scambio di sensazioni, momenti ed esperienze tra compagni provenienti da luoghi differenti e con diverse conoscenze, possiamo costruire condizioni che non ci faranno attendere i summit.
La nostra non è e non sarà una posizione di difesa!
Guerra con tutti i mezzi!
Siamo in guerra con il VOSTRO esistente!

piromani antisociali


Zografou – Atena [Grčka]: Napadnuta zaštitarska tvrtka (30.11.2016.)
Ujutro 30. novembra napali smo čekićima i vatrom ured zaštitarske tvrtke S.C.S. u četvrti Zografou, Atena.
Privatne zaštitarske trvtke igraju ulogu parapolicije, stvarajući profit prodajom straha, promičući doušništvo i suradnju s policijom.
Iz tih razloga, i ne samo, nije nam bilo teško izabrati ih kao metu. K tome, ovim našim djelom dokazali smo da je ta tvrtka beskorisna i njene usluge sasvim iluzorne pošto nisu sposobni čak ni da sami sebe zaštite. Nijedno njihovo ljudsko ili mehaničko sredstvo nadzora ne može zaustaviti one koji posjeduju želju da napadnu postojeće.
Ovim djelom želimo podržati poziv protiv samita G-20 koji će se
...

Anarhija.info
Rosso e/o Nero – Black and/or Red [it]

Se qualche “compagno” si attende la traduzione in italiano della rivendicazione firmata dalla Colonna Insurrezionale FAI-FRI di Cile, intitolata “Progetto Nemesi”, sarà un’attesa infinita, dato che la redattrice/traduttrice di questo sito disprezza il comunismo (come già spiegato nel testo Aut Aut) quanto il capitalismo e la democrazia, quindi ne ha piene le ovaie di continuare a leggere nei testi anarchici (o “anarhcici”) delle “citazioni rosse”, come ad esempio delle RAF, Gramsci, esercito di Rojava, MIR, FPMR e di tutte le altre organizzazioni e personaggi che si battevano per realizzare quella stessa idea che ha trucidato gli anarchici in varie parti del mondo, essendo un’idea autoritaria.


If some “comrade” is waiting for translation in Italian of the claim signed by Insurrectional Column FAI-FRI from Chile, entitled “Project Nemesis”, it will be an endless wait, since the editor/translator of this site despises communism (as explained in the text Aut Aut) as much as capitalism and democracy, therefore these anarchist (or “anarchist”) texts with “red references” really broke my ovaries, as to RAF, Gramsci, army of Rojava, MIR, FPMR, and to all other organizations and figures, who fought to achieve the same idea that slaughtered the anarchists in different parts on the world, because it is an authoritarian idea.

Atene [Grecia]: Sugli scontri del 17 Novembre al Politecnico [it]

Ci assumiamo la responsabilità per la partecipazione negli scontri del 17 novembre 2016 al Politecnico di Atene. Siamo compiaciuti del risultato, e dei sei sbirri in ospedale. Siamo contenti di essere stati parte attiva di un atto anarchico insurrezionale, che ha mostrato una forza sufficiente per le misure e possibilità che può offrire.
Non siamo stati parte dello scontro per “celebrare l’anniversario” del 17 Novembre. Non siamo stati parte dello scontro per fare delle circoscrizioni sociali. Non siamo stati parte dello scontro nella speranza di arrecare qualche serio danno alla proprietà. E nemmeno siamo stati parte dello scontro per dimostrare che il cosiddetto ambiente anarchico possiede una dinamica compatta e una presenza combattiva, creando l’illusione di una massa “che irrompe” e “semina caos” negli incontri prestabiliti con notevoli forze operative.

CONTRO L’INDOLENZA
Siamo stati parte dello scontro per creare momenti di attacco e di dimestichezza con la violenza anarchica immediata, per testare i nostri riflessi e coesistere con delle individualità che apprezziamo al livello teorico e pratico, e infine per sfuggire all’inazione e all’inerzia. Siamo stati parte di un momento insurrezionale, con qualche effetto elementare (in termini di costi materiali per i portatori del potere).

CONTRO LA DEMOCRAZIA E LE SUE FIESTE
Siamo stati parte dello scontro come una farsa sacrilega contro il pellegrinaggio, le marce celebrative, il revival dei “Bei tempi che furono” nei bar, lo spirito democratico conciliante del “popolo in lotta”, la santificazione e la simbolizzazione delle lotte – con lo scopo di giustificare l’obbedienza alla nostra inclinazione al quieto vivere e alla sicurezza – elevandole a qualcosa di irraggiungibile che solo nel futuro può accadere nuovamente, e ovviamente agli altri. Abbiamo affrontato gli sbirri della democrazia combattendo la democrazia stessa e
...

Carcere di Koriydallos – Atene [Grecia]: CCF – Solidarietà: Una breccia nel tempo di prigionia (16/11/2016) [it]

Ci sono molti momenti in cui arriva l’amara consapevolezza della nostra impotenza di esprimerci come vorremmo, con la sua espressione ditirambica di un vincitore che stringe i nostri cuori. E ci ha sempre infastidito il fatto di dover limitare la nostra manifestazione di desideri, soprattutto di intrappolarli con semplice inchiostro in un pezzo di carta, trasformandoli in parole così spesso ripetute che il loro potere ha iniziato a scomparire sotto il peso di questa quasi tipica ripetibilità. Ma esistono anche alcune parole che a prescindere dal logoramento dovuto al continuo utilizzo continuano ad irradiare un bagliore, che ricevono dai compagni. Parole che donano forza, portano il sorriso sulle labbra, fanno una breccia nella solitudine detenuta. Parole come solidarietà.
Avremmo ovviamente preferito che queste parole fossero state accompagnate dalla forza vitale di un’azione, di un attacco, dall’intensità di un fuoco nella notte, dal suono di un’esplosione, dallo scivolare di un proiettile in una canna. Ma nonostante la grigia realtà di detenzione che ci depriva di simili scelte e opportunità, vogliamo almeno sperare che il calore delle nostre parole possa trasmettere un po’ di forza dei nostri sentimenti, che i nostri compagni detenuti all’estero sentano la forza della solidarietà che noi sentiamo per loro.
Così, stiamo scrivendo per i nostri fratelli e sorelle anarchiche in Cile, tenuti come ostaggi di giustizia, accusati per l’attacco incendiario ad un dipartimento di polizia investigativa nel novembre del 2014 – conosciuto anche come il caso PDI – il cui processo dovrebbe iniziare, dopo un altro rinvio, il 28 novembre. Maria, Natalia, Amaru e Felipe, i nostri pensieri sono con voi e vi auguriamo con tutto il nostro cuore di possedere la forza durante il vostro processo. Speriamo che i terribili giorni di detenzione molto presto saranno un passato sgradevole lasciato alle spalle.
Scriviamo anche per i nostri fratelli e sorelle anarchiche in Italia, arrestati e accusati nell’Operazione Scripta Manent, e soprattutto per il compagno e membro della FAI-Nucleo Olga, Alfredo, come anche per la compagna Anna, che hanno recentemente vinto la propria battaglia per porre fine alle condizioni di isolamento speciale imposte a loro. Una lotta in cui hanno utilizzato il proprio corpo come una barricata, dato che hanno rischiato le proprie vite nello sciopero della fame. Vogliamo con tutto il nostro cuore esprimere la nostra felicità per la loro vittoria, che può sembrare piccola a certe persone, ma per noi significa tutto dato che anche noi siamo passati attraverso scelte simili. Inoltre, vittorie come queste, anche se rappresentano dei piccoli punti sulla mappa di liberazione totale del detenuto, nello stesso tempo non cessano di essere “respiri di libertà” in un ambiente già soffocante.
Quindi, dalle nostre celle inviamo questo segnale di solidarietà, e contemporaneamente salutiamo tutti i compagni che resistono al tormento della prigionia in cui si trovano a causa della scelta che hanno fatto nella lotta contro il dominio. Sappiamo oggi dall’esperienza propria che quando la solidarietà è sincera e autentica, allora può fuggire da un foglio senz’anima, attraversare migliaia di chilometri, penetrando la recinzione e le sbarre, per portare calore nei cuori dei detenuti ricordandoli che non sono soli. Che qualcun altro, vicino o lontano, pensa a loro, si preoccupa per loro, percependo le azioni falsamente attribuite o le azioni che hanno fieramente rivendicato come parte della geografia complessiva di lotta anarchica contro l’autorità. Questo di per sé basta a riempire di forza un prigioniero politico, da donargli/le un sollievo mentale e a rafforzare la sua resistenza. Questo è l’unico modo in cui la solidarietà raggiunge il proprio scopo, cioè fare in un modo o nell’altro una breccia nel tempo di prigionia.

Membri della Conspirazione delle Cellule di Fuoco – FAI/IRF
Michalis Nikolopoulos
Harris Chatzimichelakis
Damianos Bolano
George Nikolopoulos
Panagiotis Argyrou
Theofilos Mavropoulos

RadioAzione[Italia]
Direct Action! The Chatter Is To Zero Reflections #13 [en]

It is typical to hear the usual whimpers from the first moments after an attack of repression carried out by the State and by those who protect it, such as the magistrates that accuse, investigate and arrest those who could be “harmful” to health of the State itself.
It is always the same old song, singed, stopped and singed again.
There are those who feel the need to distance themselves immediately from those hit by repression, and usually this attitude belongs to those people that magistrates probably do not even know (or as the saying goes “nobody gives a shit about them ...”) because their greatest effort is the punctual dissociation. Like any other “citizen” loyal to the State, this scum who calls itself “anarchist” believes the newspapers, the prosecutors and the cops who build frameworks, create scenarios and indicate the perpetrators of “evil”, and this scum immediately feels the “need” to point out what “anarchy” means, adding some dots on the letters “i”. However, there are also those who have the same attitude but they do not even bother to write something, to have a sleazy and dirty way out in every moment, through the slanders behind the back, tittle-tattle.
There are those who write some lines of tears recalling witch hunts and fabrications, there are those who write in solidarity and complicity tone and then disappear two seconds after sending “telegram of condolences”, there are those who use strong terms… and then?
“Solidarity” does not mean “condolences”, as we always say it is not a written word.
Solidarity means, when you open your eyes in the morning and think that in your everyday life you miss something, you miss a piece, you miss some friends, brothers and sisters, and above all comrades. And you miss them, not because they are far away, but because an asshole without a job decides overnight to be on “the State payroll” and locks up them in the next-generation camps.
Solidarity means to think about imprisoned comrades every day and to get them what they need, supports, letters, stamps, benefit events for economic support in prison and for defense costs, to break the isolation that the walls of reinforced concrete, bars, armored and guard dogs are trying to impose on them every single day.
Solidarity means this and much more...
Disappear after sending a telegram, write few lines just to clear a bad conscience and then disappear, these are acts of Christian charity; it is like say a prayer for the sick person or put some coins in the collection basket.
These words of mine are not directed to any movement (which does not move), any group or “sect”, but to every individual who
...

Parigi [Francia]: “La rabbia tra i denti ed il sorriso sulle labbra.” (11/2016) [it]

Volantino distribuito durante il “weekend di solidarietà con i prigionieri di guerra sociale”

“Anche quando le masse subiscono i governi, vegetando nella santa e vergognosa pace della propria rassegnazione, l’individuo anarchico si erge contro la società, perché tra lui ed essa la guerra è eterna e non conosce tregua, e quando nella svolta della storia incrocia la folla in rivolta, lui issa la sua bandiera nera e, con loro, lancia la sua dinamite. L’individualista anarchico nella Rivoluzione Sociale si rivela non un demagogo, ma un elemento demolitore, non un apostolo, ma una forza viva, attiva, distruttrice...” Renzo Novatore 1919

Nella mattina del 6 settembre 2016, sull’ordine di un P.M., i cani della DIGOS di Torino hanno fatto irruzione in una trentina di case degli anarchici in varie città italiane, con il mandato d’arresto per 7 di loro. Due si trovavano già in carcere per l’attacco al dirigente della Ansaldo Nucleare, una tra le aziende principali nell’industria nucleare in Italia. Un ottavo compagno è stato arrestato in seguito alla scoperta di materiale elettrico durante la perquisizione della casa. Questa operazione, soprannominata “Scripa Manent”, non è che l’ennesima manovra di polizia contro gli anarchici in Italia dopo l’operazione Marini negli anni Novanta. Custodie cautelari, perquisizioni, pedinamenti, microspie nelle macchine e negli appartamenti e l’intercettazioni ambientali sono gli strumenti impiegati dallo Stato nelle sue operazioni anti-anarchiche. Gli accusati sono stati rinchiusi nelle diverse carceri sparse sul territorio nazionale e sottoposti al regime d’isolamento, con la censura sulla corrispondenza e il divieto d’incontro. Agli inizi dell’ottobre Alfredo Cospito e Anna Beniamino diedero inizio allo sciopero della fame in protesta contro la condizione d’isolamento, che si concluse il 22 ottobre in seguito alla soddisfazione della loro richiesta, cioè la fine dell’isolamento.
Questi compagni sono accusati di aver formato “un’associazione sovversiva con finalità di terrorismo”, la quale avrebbe eseguito diversi attacchi o tentativi di attacco, sia con armi che con esplosivi, contro gli sbirri, le caserme, i dirigenti e le strutture aziendali (un’azienda nucleare, un giornale, una società immobiliare coinvolta nella ristrutturazione di un CIE), contro uomini di Stato e un direttore di un centro di reclusione per immigrati clandestini. Questi attacchi sono avvenuti tra il 2005 e il 2012 e sono stati tutti rivendicati dalla sigla anarchica di gruppi aderenti al progetto Federazione Anarchica Informale – Fronte Rivoluzionario Internazionale (FAI-FRI).
Accusati di aver restituito al potere un po’ della sua violenza quotidiana, esercitata costantemente su milioni di persone, che garantisce l’esistenza di un ordine basato sull’autorità e sullo sfruttamento. La violenza delle frontiere, dell’avvelenamento della terra, del lavoro, della guerra e del terrore, dei controlli di polizia, del totalitarismo tecnologico e mediatico, di tutte le forme di detenzione e di dominio. La stessa violenza che si accanisce contro chi osa alzare la testa e ribellarsi, individualmente o collettivamente, sfidando la legge e l’ordine sociale.
Innocente e colpevole sono criteri che lasciamo volentieri agli sciacalli dello Stato. Noi condividiamo con gli anarchici arrestati l’amore per la libertà e l’odio verso il potere. Condividiamo con loro l’idea che una rivolta violenta e distruttiva è necessaria di fronte alla violenza quotidiana del potere. Condividiamo con loro la convinzione che è possibile agire qui ed ora contro i responsabili dell’oppressione. Senza compromessi e senza cercare a tutti i costi il consenso delle masse cittadine.
Solidarietà con Anna, Marco, Sandro, Alfredo, Danilo, Valentina, Nicola e Daniele!


Pariz [Franucska]: “S bijesom između zuba i s osmijehom na licu” (11.2016.)
Letak povodom “vikenda solidarnost sa zatvorenicima društvenog rata”.
“Čak i kada mase trpe vlade, vegetirajući u svetom i sramotnom miru svoje rezignacije, anarhistički pojedinac uzdiže se protiv društva, zato što između potonjeg i njega rat je vječan e ne poznaje primirja, i kada ga se u preokretu prošlosti sretne s pobunjenom masom on uzdiže svoju crnu zastavu e, s njom, baca svoj dinamit. Anarhistički pojedinac u Društvenoj revoluciji ne postaje demagog, nego razarajući element, ne postaje apostol, nego jedna živa, aktivna, uništavajuća sila...” – Renzo Novatore 1919
U jutro 6. septembra 2016., po nalogu jednog tužitelja, psi DIGOSA (talijanska politička policija) upala je u domove tridesetak anarhista u različitim gradovima zemlje, s nalogom za hapšenje sedmorice njih. Dvojica su se već nalazila u zatvoru zbog napada na direktora Ansaldo Nucleare, jednog od najznačajnijih poduzeća u nuklearnoj industriji Italije. Jedan osmi drug uhapšen je zato što su tokom pretresa njegovog stana otkriveni električni materijali. Navedena operacija, nazvana “Scripta Manent”, je još jedan policijski potez u nizu protiv anarhista
...

RadioAzione[Italia]
Azione diretta! Le chiacchere stanno a zero Riflessioni #13 [it]

Già dai primi minuti dopo un’attacco repressivo da parte dello Stato e chi in tutela di esso, come la magistratura, denuncia, indaga e arresta chi potrebbe essere una probabile “nocività” per la salute dello Stato stesso, è usuale sentire i soliti piagnistei.
Sempre la solita minestra riscaldata, congelata, scongelata e riscaldata di nuovo.
C’è chi sente il bisogno di prendere subito le distanze da chi è stato colpito dalla repressione, e di solito lo fanno quelle persone che la magistratura forse non conosce nemmeno (o volgarmente detto “non se li incula nemmeno di striscio…”) perché il massimo in cui si spendono è la puntuale dissociazione. Come un qualunque “cittadino” fedele allo Stato questa feccia che si definisce “anarchica” crede ai giornali, ai pm e agli sbirri che disegnano schemini, creano scenari e indicano gli autori del “male”, sente immediatamente la “necessità” di precisare cosa vuol dire “anarchia” aggiungendo qualche puntino sulle “i”. C’è anche, però, chi ha lo stesso atteggiamento e non si spende nemmeno a scrivere, per avere sempre una squallida e lurida via di fuga, ma lo fa attraverso la calunnia alle spalle, l’inciucio.
C’è chi butta giù righe di lacrime evocando la caccia alle streghe e alle montature, c’è chi scrive con toni solidali e complici per poi scomparire due secondi dopo aver inviato il “telegramma di cordoglio”, c’è chi utilizza termini forti… e poi?
“Solidarietà” non significa “cordoglio”, come si dice da sempre non è una parola scritta.
Solidarietà è aprire gli occhi al mattino e pensare che nella tua vita quotidiana
...

Carcere di Korydallos – Atene [Grecia]: “Non Serviam” – Testo dei membri detenuti delle CCF (12/09/2016) [it]

Nota di Anarhija.info: La traduzione di questo testo in lingua italiana appare solo oggi 31 ottobre perché nonostante la sua pubblicazione in versione originale, in greco, risale al 12 settembre, la traduzione inglese è stata pubblicata appena il 29 ottobre.


“Peggio della schiavitù è abituarsi ad essa...”

La vita nel mondo moderno, civilizzato comprende false rappresentazioni, falsi modelli e false formalità. Formalità che determinano la nostra crescita all’interno della famiglia, la nostra educazione, carriera professionale, i nostri rapporti, emozioni, sorrisi o lacrime. Modelli che castrano i propositi delle nostre percezioni in modo che i nostri pensieri siano rivolti verso un marciapiede mobile unidirezionale.
Rappresentazioni che travisano le funzioni e le patogenesi del sistema in modo tale di farci vedere lo svolgimento della vita solo su un palcoscenico, senza mai chiederci cosa si cela dietro le quinte. Così, migliaia di suicidi dei debitori disperati rappresentano solo un’altra statistica tra le spiacevoli conseguenze della crisi economica, l’impoverimento del cosiddetto terzo mondo è solo un fatto spiacevole le cui ferite saranno rimarginate dalle organizzazioni di beneficenza, le morti innumerevoli causate dalle crociate moderne, le vittime sfortunate dell’assurdità di guerra e gli schiavi condannati nelle carceri americane sono semplicemente degli elementi antisociali che forniscono servizi sociali alla Democrazia.
Il carcere stesso è l’esilio dalla vita; un non-luogo e un non-tempo dietro lo schermo di una società decente, per occultare la bruttura che infastidisce i rispettabili cittadini. Le carceri sono la prova di un’intelligenza perversa delle menti autoritarie. Sono costruite con muri che echeggiano urli e gemiti di migliaia di persone che hanno imparato a dormire con le angosce e disperazioni. Il carcere è il paese di prigionia, il paese dove la persona impara ad inginocchiarsi davanti il “Divieto”, una discarica per lo smaltimento dei rifiuti umani, una discarica industriale dove finiscono i rifiuti pericolosi della macchina sociale. Tuttavia, per la maggior parte delle persone, per tutti coloro che non hanno mai imparato a dubitare, a mettere in discussione, di guardare oltre l’ovvio, il carcere rappresenta un muro di sicurezza necessario per proteggere una vita pacifica e tranquilla.
E’ sicuramente ipocrita da parte di una società manifestare la propria civiltà democratica, i propri valori umani e sensibilità sociale in un modo così volgare, quando quelli ritenuti non idonei ad esistere all’interno della stessa società vengono accatastati nei magazzini delle anime. Ma è infinitamente più ipocrita, e irritante nello stesso tempo, trasformare queste esistenze incarcerate, questi morti viventi, in un valore commerciale attraverso un moderno e sofisticato commercio di schiavi.
Eppure, questo è la realtà per circa due milioni e mezzo di detenuti nelle carceri
...

Messico: Lettera del prigioniero anarchico Fernando Bárcenas – “Non abbiamo bisogno di leggi per gestire le nostre vite” (10/2016) [it]

La legge è un dispositivo che castra le capacità umane; essa pensa, dirige e crea le nostre vite per noi, e un tale concetto implica la mutilazione della più unica e autentica parte di noi.
Perciò chi decide di prendere la vita nelle proprie mani ai margini di questa putrida macchina viene considerato “diverso”, “antisociale”, “criminale” ecc.
Non possiamo avanzare delle soluzioni all’interno della “cornice democratica”, che attraverso politiche di sterminio terrorizza i propri abitanti con detenzioni, violenze e morte.
Ho sentito delle voci su un’amnistia promossa da alcuni partiti politici e istituzioni, e considero necessario precisare qui la mia posizione che rifiuta tutte le forme di strumentalizzazione delle energie di persone con lo scopo di mantenere l’ordine. Alcuni pensano che un’amnistia può essere indirizzata agli interessi delle persone, frantumati dall’imposizione della ricchezza a costo della schiavitù economica. Non vogliamo “lasciare” un carcere per entrare in un altro. Vogliamo essere completamente liberi, fuori dalle loro realtà virtuali, e se questo implica distruggere la loro società lo faremo, convinti che qualcosa di nuovo dovrebbe nascere per seppellire eternamente questa marcia civiltà, che ci costringe ad essere automi e ingranaggi del macchinario...
Le “lotte politiche” sono inutili, le lotte devono essere parte di un conflitto permanente presente ovunque; possono imprigionarci, ma non fermeranno la rivolta. Gli abitanti infuriati escono sulle strade per rifiutare
...

Repubblica Ceca: Dichiarazione del prigioniero anarchico Lukáš Borl (11/09/2016) [it]

Domenica 4 settembre 2016 sono stato arrestato dalla polizia a Most e poi portato in custodia cautelare nel carcere di Litomerice. Purtroppo è successo quello che non volevo, ma sapevo da sempre che questo poteva accadere in ogni momento. Per fortuna mi ero mentalmente preparato ad una tale situazione, così ho potuto affrontare con calma questo tipo di realtà sgradevole, alla quale io sono esposto e, sembra, le persone a me vicine.
Sono stato catturato da coloro che difendono il dominio del capitale sulle nostre vite. Tuttavia, questo non cambia nulla nella mia volontà di proseguire lungo il sentiero che ho scelto. Continuerò a distruggere e a creare. A combattere e ad amare. Rimango anarchico con tutto ciò che appartiene a questo. Ho deciso per adesso di scrivere alcuni paragrafi sulla mia detenzione. Sicuramente presto esprimerò la mia opinione su altre questioni che ritengo importanti.

*** Prima dell’arresto
Non è un segreto che in un certo momento ho deciso di “scomparire”, allarmato che la polizia stava progettando il mio arresto. Ho espresso le mie motivazioni nel testo Disappearing the State Control, pubblicato su vari siti del movimento anarchico. La scelta che feci mi permise di vivere nascosto e abbastanza contento per mesi. Mi spostavo liberamente e mangiavo bene. Il mondo intero divenne per me la mia casa, e fui capace di trovare isole per una vita culturale e sociale. A causa del sostegno emotivo e materiale ebbi abbastanza energia per continuare a lottare per l’emancipazione. Conoscevo i rischi collegati a questo, ma non ho mai pensato di porre fine a questo e non ci penso neanche adesso. Liberarsi dalla dittatura dello Stato e del capitalismo è un obiettivo così attraente che è impossibile per me distogliere l’attenzione da esso. Anche col fatto che il potere mi sta minacciando con il dito, il bastone o il carcere... Essere anarchico per me significa comprendere tali minacce come una conseguenza inevitabile del mio desiderio espresso per la libertà. Questo è collegato alla vita quotidiana dei ribelli. Un fatto che non ho potuto evitare, ma posso sfidarlo. Quello che sto facendo e continuerò a fare.

*** Le circostanze del mio arresto
La polizia mi ha arrestato a Most, una piccola città in cui sono nato e vissuto per tanto tempo. Parte della mia famiglia e molti amici vivono là. A Most gestivo con altre persone il centro sociale “Ateneo”, dove abbiamo organizzato una lunga serie di iniziative legate al movimento anarchico. In breve, in questa città sono una persona abbastanza conosciuta, sia dagli abitanti che dalla polizia e burocrati. Per alcune persone sarà stata un’espressione di “stupidità” il fatto che avevo deciso di tornare in questa città, dove contemporaneamente ero oggetto di un mandato d’arresto europeo. Anche se le persone a me più vicine pensassero così, non li darei colpa. Perché guardano alla questione da una posizione diversa dalla mia. Quindi, capisco che alcune persone non comprendono le idee e le azioni di uno che vive in clandestinità da tempo. La vita della persona in fuga è legata alla separazione dalle persone che lui/lei ama e che in precedenza sono state in stretto e frequente contatto. Si tratta di una delle cose più difficili che una persona in una situazione del genere deve affrontare. Raccolta di fondi, cibo, rifugio o sicurezza sono in confronto compiti relativamente semplici. Esistono due modi per affrontare una tale separazione. O la si accetta passivamente, il che significa esporsi anche ad una sofferente e infinita frustrazione. O si cerca di superare la separazione attraverso contatti occasionali, i quali ovviamente aumentano di molto il rischio di essere catturati dalla polizia. Io ho scelto “istintivamente” la seconda opzione. Sapevo cosa stavo rischiando e cosa potevo perdere. Ma, sapevo anche che in isolamento potevo perdere qualcosa di molto importante per
...

Anarhija.info
Aut Aut [it]

Quando tradussi e pubblicai l’opuscolo “Individualità e il gruppo anarchico”, firmato da una delle cellule della CCF, Cellula di Guerriglia Urbana, aggiunsi in nota che non l’ho fatto perché ne condivido il contenuto, ma per rendere pubblico quanto questo progetto, secondo me, si è allontanato da quella sua forma originaria di tensione per proporre (o riproporre) un individualismo anarchico che per certi versi può essere trovato nelle pagine di una diversa teoria insurrezionalista, però, in questo caso, avvicinandosi, o addirittura in certi punti sfociando in idee formali, cioè dell’organizzazione formale. Simili proposte (piattaforma informale, organizzazione strutturata e specifica) sono già state oggetto di critica, sia nello scritto del compagno Alfredo Cospito indirizzato ai compagni greci, che nel testo di alcuni compagni che costituivano le CARI-PGG, e recentemente nell’ultima riflessione, riguardo il testo in questione, del compagno di RadioAzione.
Questo che segue è solo una raccolta di pensieri sparsi che affioravano alla mia mente mentre traducevo il testo, di tasselli che non compongono un mosaico figurativo, ma un’ astratta immagine personale libera a interpretazioni, perché non possiedo verità da trasmettere, e tanto meno da mercificare.
Questo opuscolo tocca vari argomenti, e molti di essi, secondo il mio punto di vista, vanno a sgretolare il concetto dell’individualismo in sé (sia a livello teorico che pratico). E proprio coloro (almeno gli autori del testo) che abbracciarono l’idea della F.A.I., propagando la versione nichilista dell’anarchia, adesso propongono di snaturalizzare la prima, cercando di indirizzarla nelle forme (strutture) che sono più proprie ad un, oserei dire, “insurrezionalismo comunista” che anarchico, più affine forse ai gruppi come 17N, cercando di strutturare l’anarchia informale in piattaforme, organizzazioni fisse, cluster, gruppi, sotto-gruppi, gruppi di prova ecc. Il testo sta tentando di lanciare una proposta completamente antitetica alla F.A.I., però conservando lo stesso aggettivo “informale”. Non perché qualcuno detiene su di essa i “diritti d’autore”, ma perché va ad eclissare tutto quello che c’è di informale e di individualista in questo progetto. Partendo dalla mia esperienza personale, se ritengo che un progetto non soddisfa i miei bisogno sono libera di crearmi un altro, senza cercare di convincere gli altri di adattarsi ai miei bisogni. Questo, per me, significherebbe far politica.
Non è che con queste mie parole voglio, per l’amor dell’anarchia, imporre a qualcuno le mie idee, solamente penso che chi progetta organizzazioni così strutturate e fisse, forse farebbe meglio a darsi anche un nome più appropriato. “Informale”, nel documento della F.A.I. in lingua italiana (“Chi siamo – Lettera al movimento anarchico e antiautoritario”): “Inoltre chi fa parte della F.A.I. ne è militante a tutti gli effetti solo nel momento specifico dell’azione e della sua preparazione, non investe l’intera vita e progettualità dei compagni (...)”. Poi se in qualche altra lingua questo concetto possiede significati diversi forse
...

RadioAzione[Italia]
Che peste ti colga! Riflessioni #12 (10/2016) [it]

“Quando fu impestata lei corse dal fratel
quando fu impestato lui corse dal papà
pian piano si propagò dentro nel quartier
provocando l’invasione in città.”
(dalla canzone “1660 Peste ti colga”)

Nelle prossime righe, con il mio modo poco elegante, rozzo ma sicuramente sincero, cercherò di spiegare il mio punto di visto su alcuni aspetti, per me, fondamentali dei modi di essere anarchico.
Alcuni di questi aspetti sono già stati affrontati nelle varie e vecchie “riflessioni #” su questo sito.
Il perché riprendere certi argomenti scaturisce dopo la lettura dell’opuscolo di Gerasimos Tsakalos, tradotto e pubblicato ultimamente dalla compagna di Anarhija.info
Questo lungo documento del compagno greco lascia capire come a volte vengono abbracciati progetti, sigle o acronimi senza capire bene a cosa ci si sta approcciando; peggio ancora è la snaturalizzazione di quei progetti-sigle-acronimi che si stanno abbracciando…
Faccio un esempio. Un giorno decido di passare all’attacco contro il sistema materialmente e firmo un documento/rivendicazione firmata “Cellula X”, creata sul momento da chi fa l’azione e cioè me da solo o insieme ad altri individui, e accompagnata da un acronimo “Y” che è un progetto di altri compagni che hanno lanciato una propaganda di attacco attraverso un documento che spiega cosa sono, cosa vogliono e come intendono loro quel loro progetto.
Se io decido di firmare anche con l’acronimo quel progetto vuol dire che sento mie quelle basi, altrimenti posso anche evitare di affiancare le due firme. Ancor più se io ho delle idee, o visioni, completamente diverse dal quel progetto non vado a snaturizzarlo con le mie riflessioni.
Se, per esempio, quel progetto parla di di “gruppi di affinità” che nascono e muoiono nel momento in cui l’azione ha raggiunto il suo scopo, non chiamerò insieme ad altri individui che agiscono con me sempre con lo stesso nome una “cellula”, anche se nel caso
...

Grecia: Consumimur Igni – Testo e striscioni in solidarietà con gli anarchici arrestati in Italia nell’Operazione “Scripta Manent” (12/10/2016) [it]

Nelle prime ore di mercoledì mattina abbiamo appeso due striscioni per gli arrestati in Italia, accusati di essere membri della FAI-FRI. Uno al Politecnico e l’altro ai Propilei.
Quello che segue è un testo di critica e di riflessioni in occasione degli eventi.

“Poco prima della fine”
Nelle prime ore di 6 settembre i mastini della polizia italiana, nel loro noto ruolo miserabile ma nello stesso tempo d’onore secondo il loro statuto, hanno bussato, non invitati, sulle porte di 30 case differenti sul tutto il territorio italiano, in cerca di sospetti coinvolgimenti nelle attività della FAI-IRF. L’operazione di polizia dal nome in codice “scripta manent” (le parole scritte rimangono) si concluse con cinque arresti (Αlessandro, Mario, Anna, Daniele, Danilo), oltre le accuse aggiuntive a carico di Nicola Gai e Alfredo Cospito, detenuti da settembre del 2012 per il ferimento di Roberto Adinolfi, azione rivendicata dalla cellula Olga FAI-FRI.
La posizione in cui ci troviamo verso la società e lo Stato, come mediatore e strumento di codifica delle relazioni riflesse all’interno dell’ultimo, non lascia spazio alla formazione di sensazioni di sorpresa o di stupore causate dai movimenti repressivi. Tuttavia, certe condizioni che agiscono come un terreno fertile per lo sviluppo di questa operazione non ci lasciano solamente esterrefatti di fronte alla pratiche che finora non abbiamo dovuto affrontare, nonostante la consapevolezza delle loro possibili applicazioni. Sono queste le condizioni che ogni persona insorta dovrebbe mettere sotto il microscopio della critica e analizzarle a fondo, evitando la collisione con gli aeroliti degli eventi, raggiungendo l’ovvio e quindi ben celato dalla moderna realtà spettacolo, che la ristrutturazione delle strutture del capitale porta a dei classici ma contemporaneamente arrugginiti meccanismi di stallo della sua accumulazione, che a causa del loro cronico deterioramento per le proprie operazioni richiedono sempre più carne. La loro storia, dopotutto, è capace di predisporci come prime mete che rappresenteranno la preda per il rinvio di un inevitabile collasso.
Con un rapido sguardo ai fatti notiamo che le accuse a carico degli arrestati riguardano gli attacchi avvenuti quasi 15 anni fa, dato che adesso siamo negli ultimi mesi del 2016. Attraverso uno sguardo spasmodico, superficiale e
...

Messico: Riflessioni dell’anarchico Fernando Bárcenas nel foglio anti-carcerario “El Canero” (06/2016) [it]

Fernando Bárcenas Castillo è un giovane anarchico, musicista e studente della Facoltà di Lettere Vallejo di Città del Messico. Ha vent’anni ed è arrestato il 13 dicembre 2012 durante una protesta contro l’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana. Viene accusato di aver bruciato l’albero natalizio della Coca-Cola, e da allora si trova nel Carcere Nord in Messico. Nel dicembre 2014 è condannato a cinque anni e nove mesi per attacco all’ordine pubblico e per criminalità organizzata. Ha fatto appello e adesso sta aspettando la decisione. In carcere Fernando ha organizzato alcuni progetti informativi come riviste e il foglio anti-carcerario “El Canero”.

Riflessioni Fernando Bárcenas sul foglio “El Canero”, Carcere Nord, Città del Messico, giugno 2016
Il progetto “El Canero” nasce da ore di noia, da discussioni condivise e da riflessioni nelle celle d’isolamento in zona 3 nell’area d’ingresso, osservando la routine e comprendendo che dobbiamo sempre ricominciare; in questo modo è nato il bisogno di ridare qualche significato.
Qual era il significato della vera lotta contro il dominio e lo Stato?
Significa ancora qualcosa per continuare ciecamente a credere nelle mie idee?
La mia testa si era riempita di domande ed allora ho capito che avevo bisogno di trovare un modo per non soccombere all’angoscia e alla disperazione...
All’inizio ho cominciato a scrivere per iniziare un dialogo con me stesso, poi quando ho concepito il modo in cui materializzare la mia libertà interiore l’ho utilizzata come luogo di introspezione, partendo dal punto quando mi sono trovato con i miei carcerieri, le mie carceri soggettive, i miei comportamenti autoritari e remissivi, un luogo che ha acquistato significato solo ritrovando me stesso, e questo è di fatto diventato uno strumento per riconquistare fiducia nella mia individualità unica e libera.
Poi, sono arrivate le domande.
Ha senso scrivere a sé stessi?
Di cosa avevo bisogno per spezzare le sbarre dell’isolamento?
Le domande infinite mi hanno portato ad una ed unica risposta: “Scrivere!”
Se la libertà è indispensabile e apprezzata come la vita stessa, fino al punto che preferiamo sacrificare la nostra vita che sottometterla alla schiavitù e alle catene, allora perché non lottare per diffondere la libertà e renderla possibile agli altri, per provare la sensazione di libertà e di pienezza che ci dà, scorrendo attraverso il nostro corpo ogni volta che usciamo dai confini legali, dalle norme sociali, qui ed adesso?
Noi siamo i protagonisti della rivolta, e in ogni atto decisivo guardiamo a noi stessi come a degli esseri capaci di autodeterminazione, capaci di riprendersi le vite e di andare avanti in modo coerente verso la sperimentazione e la creazione di nuove forme di relazioni, senza trasformasi in istituzioni sociali strada facendo. Per questo motivo dobbiamo, sia fuori che dentro le mura del carcere materiale, riflettere e chiederci: siamo contenti di vivere sottomettendoci a tali condizioni? Vogliamo distruggere la realtà o la vogliamo solo trasformarla? Ma soprattutto dobbiamo sapere se abbiamo davvero fatto questa scelta, se è davvero nostra.
Fernando Bárcenas
Carcere Nord, Città del Messico


Meksiko: Razmatranja anarhističkog zatvorenika Fernanda Barcenasa u anti-zatvorskom listu “El Canero” (06.2016.)
Fernando Bárcenas Castillo je jedan mladi anarhist, glazbenik i student Filozofskog fakulteta Vallejo u Mexico Cityju. Ima dvadeset godina i uhapšen je 13.12.2012. tokom jednog prosvjeda protiv poskupljenja karte podzemne željeznice. Optužen je za paljenje božićnog drvca Coca-Cole i od tada se nalazi u Sjevernom zatvoru Meksika. U decembru 2014. osuđen je na pet godina i devet mjeseci pod optužbom za napad na javni red i za organizirani kriminal. Uložio je žalbu i sada čeka odluku. U zatvoru je Fernando
...

Cospirazione delle Cellule di Fuoco – Cellula di Guerriglia Urbana
Individualità e il gruppo anarchico [it]

Nota: Traduco e pubblico questo lungo testo di una cellula delle CCF, Guerriglia Urbana, firmato da Gerasimos Tsakalos, non perché il mio pensiero anarco-nichilista lo condivide, ma per rendere pubblico quanto questo progetto si è allontanato da questa forma di tensione per proporre (oserei dire riproporre) un individualismo anarchico che per certi versi può essere trovato nelle pagine di una diversa teoria insurrezionalista, però in questo caso avvicinandosi, o addirittura in certi punti sfociando in idee formali, cioè dell’organizzazione formale.
Buona lettura...

Prologo
Il nuovo titolo delle Black International edizioni, “Individualità e gruppo anarchico”, scritto da Gerasimos Tsakalos delle CCF – Cellula di Guerriglia Urbana, affronta una questione che riguarda molti di coloro che rappresentano la parte attiva della tensione anarchica. Non parala solo del modo in cui i compagni affrontano le strutture di organizzazione minima (cluster, reti, gruppi di affinità), informali e di attacco, del modo in cui si comportano all’interno di esse, degli effetti che producono su di loro, ma volge lo sguardo anche ai problemi che possono sorgere e alle possibili soluzioni di questi. Tutto questo può contribuire ad una nozionale mappatura “da-completare” di alcune zone di confine tra le periferie del sociale e del clandestino, per coloro che attraversano queste zone.
Scritto in base ad un’esperienza vissuta di un guerrigliero anarchico urbano armato, detenuto nell’isolamento sotterraneo del carcere di Korydallos ad Atene, Grecia, non è una fantasia surreale, ma un testo sviluppato nella fornace di teoria pratica e delle sue conseguenze. Le forme orizzontali dell’organizzazione qui descritte sono le stesse che sono state usate e
...

Paroxysm of Chaos #2 [en]

New issue of anarcho-nihilist magazine “Paroxysm of Chaos” (first issue).
Download: Paroxysm of Chaos #2

Contents:
-Prologue
– Desecration of universality and the theatrical significance of civilisation’s performances (pages 2–5)
-Chaotic iconoclasm and incineration of idols (Anticivilisation paroxysm part 1) (pages 6–9)
-The coronation of moralism upon the throne of the ghost of Nature (Anticivilisation paroxysm part 2) (pages 9–19)
-Breaking the windows that sell the products of civilisation (Anticivilisation paroxysm part 3) (pages 20–21)
-My misanthropism (Anticivilisation paroxysm part 4) (pages 21–23)
-Wildness in the city (pages 24–28)
-A Life (pages 28–31)
-Insurrection or revolution? (pages 32–35)
-The unique one meets the overhuman II (pages 36–37)
-Moments of war (pages 38–45)
-Poetry of the void (pages 46–49)
-Introduction to the project Antisocial Evolution (pages 50–53)
-On being lyrical (pages 54–55)

e-mail: paroxysmofexistence(at)espiv.net

Edinburgh [Škotska]: “Sokol Kaosa” — Sabotaža građevinskih strojeva i palež [hr]

Unutar neprekidno rastuće modernizacije u već neobuzdano razvijenoj urbanizaciji osjećam kako se moja individualnost guši. Gradska sredina je u mojim očima zatvor pod otvorenim nebom. Unutar nje ljudska bića samo postoje, kao kućni ljubimci boga zvanog Zakon, koji odvaja njihove živote od bilo kojeg oblika života i okoliša. A oni koji se ne žele odvojiti u biti ipak odvajaju sami sebe, zato što se vide kao regulatori “divljeg” života. Želje su već odavno kanalizirane u potrošačku bolest koja se odnosi na sve, od materijalnih stvari do misaone sfere, gdje su se otrovi dugih godina kapitalizma utemeljeli u kombinaciji s nemoći negacije društvenih uloga i svake kulture-zatvora, potomaka civilizacije. “Slobodan” život je “ljepota” izbora u gradskoj sredini koja utjelovljuje najviši stupanj masifikacije ideologema civilizacije. Upravo su se tu sva prava pretvorila u grobnicu života. No ipak, moje želje traže afirmaciju života kroz eksperimentiranje destruktivne dekonstrukcije teorije i djela.
Zato sam se prije zore 19.07.2016. uputio prema gradilištu s namjerom da sabotiram i uništim vlasništvo. Nema veze kojeg poduzeća, meni su ionako sva ista, kotači civilizacije i njenih procedura. Nakon što sam prerezao ogradu rasjekao sam veliku hrpu kablova dvaju bagera, a stakla jedne dizalice obojio u crno. Nihilistički simboli su također iscrtani na strojevima. Simboli koji označavaju proceduru, ne reifikaciju. Namjeravao sam nastaviti s uništenjem, no zbog razloga što sam najvjerojatnije primjećen iz kuće sa suprotne strane odlučio sam odustati. Mada i dalje ideje ostaju da se realiziraju. 12.08.2016. zapalio sam skupocjeni sportski automobil koristeći vrlo jednostavnu metodu postavljanja zapaljivih kocka za potpalu na vrh gume ispod spremnika goriva. Ovo je djelo izraz mizantropskih osjećaja, općenito ali i specifično prema onima koji koriste proizvode civilizacije kroz društvenu logiku spektakla. Za ljepotu vatre u mraku noći. Protiv društva samog i reprodukcije pravila adaptacije. Društvo je nadasve skup ideoloških sistema, čak u međusobnom sukobu, a zatim nadzor i psihosomatska represija koja se rađa iz prvih, a individualnost uvijek ostaje zatvorenica. Zato, napadi na društvo ne bi
...