Titolo: Carcere di Korydallos – Atene [Grecia]: “Non Serviam” – Testo dei membri detenuti delle CCF (12/09/2016)
Origine: 325.nostate.net
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Nota di Anarhija.info: La traduzione di questo testo in lingua italiana appare solo oggi 31 ottobre perché nonostante la sua pubblicazione in versione originale, in greco, risale al 12 settembre, la traduzione inglese è stata pubblicata appena il 29 ottobre.


“Peggio della schiavitù è abituarsi ad essa...”

La vita nel mondo moderno, civilizzato comprende false rappresentazioni, falsi modelli e false formalità. Formalità che determinano la nostra crescita all’interno della famiglia, la nostra educazione, carriera professionale, i nostri rapporti, emozioni, sorrisi o lacrime. Modelli che castrano i propositi delle nostre percezioni in modo che i nostri pensieri siano rivolti verso un marciapiede mobile unidirezionale.

Rappresentazioni che travisano le funzioni e le patogenesi del sistema in modo tale di farci vedere lo svolgimento della vita solo su un palcoscenico, senza mai chiederci cosa si cela dietro le quinte. Così, migliaia di suicidi dei debitori disperati rappresentano solo un’altra statistica tra le spiacevoli conseguenze della crisi economica, l’impoverimento del cosiddetto terzo mondo è solo un fatto spiacevole le cui ferite saranno rimarginate dalle organizzazioni di beneficenza, le morti innumerevoli causate dalle crociate moderne, le vittime sfortunate dell’assurdità di guerra e gli schiavi condannati nelle carceri americane sono semplicemente degli elementi antisociali che forniscono servizi sociali alla Democrazia.

Il carcere stesso è l’esilio dalla vita; un non-luogo e un non-tempo dietro lo schermo di una società decente, per occultare la bruttura che infastidisce i rispettabili cittadini. Le carceri sono la prova di un’intelligenza perversa delle menti autoritarie. Sono costruite con muri che echeggiano urli e gemiti di migliaia di persone che hanno imparato a dormire con le angosce e disperazioni. Il carcere è il paese di prigionia, il paese dove la persona impara ad inginocchiarsi davanti il “Divieto”, una discarica per lo smaltimento dei rifiuti umani, una discarica industriale dove finiscono i rifiuti pericolosi della macchina sociale. Tuttavia, per la maggior parte delle persone, per tutti coloro che non hanno mai imparato a dubitare, a mettere in discussione, di guardare oltre l’ovvio, il carcere rappresenta un muro di sicurezza necessario per proteggere una vita pacifica e tranquilla.

E’ sicuramente ipocrita da parte di una società manifestare la propria civiltà democratica, i propri valori umani e sensibilità sociale in un modo così volgare, quando quelli ritenuti non idonei ad esistere all’interno della stessa società vengono accatastati nei magazzini delle anime. Ma è infinitamente più ipocrita, e irritante nello stesso tempo, trasformare queste esistenze incarcerate, questi morti viventi, in un valore commerciale attraverso un moderno e sofisticato commercio di schiavi.

Eppure, questo è la realtà per circa due milioni e mezzo di detenuti nelle carceri degli Stati Uniti d’America, trasformati dal moderno Impero in schiavi. Questi detenuti-schiavi sono la casta più bassa dei margini sociali. Non solo che sperimentano la crudeltà della prigionia, ma sono sono condannati anche a perdere completamente la loro essenza umana; per diventare schiavi nelle moderne galere delle celle infernali americane in modo da far ottener vantaggi finanziari alle carceri privatizzate e alle multinazionali, le quali utilizzando parte di questo denaro sporco sostengono campagne elettorali dei vari politici, che promettono ordine e sicurezza ai propri elettori. A loro volta, gli elettori – coefficienti predefiniti in un’equazione programmata – assolvono il proprio ruolo, e la soluzione è sempre obbedienza. Proprio per questo motivo gli schiavi più felici sono i più grandi nemici della libertà.

Ma ci sono anche degli altri schiavi che non sono così felici. Sono gli “angeli caduti” in una società che con perversione autoritaria tratta gli esseri umani come degli ingranaggi. Ma questi ingranaggi umani si stanno lentamente rivoltando contro questa stessa società. Attraverso gli Stati Uniti e le carceri del territorio un sussurro sempre più crescente inizia a diffondersi. Il 9 settembre questo sussurro si è trasformato in un grido rabbioso di libertà, urlando in faccia all’onnipotente sistema di correzione l’antico grido di ribellione: “Non serviam”.

Il 9 settembre è una data importante per i detenuti nelle carceri americane, perché 45 anni fa, 9 settembre 1971, scoppiò l’incendio nel carcere di Attica. Circa 1.500 detenuti insorsero, prendendo in ostaggio i secondini, esponendo una serie di richieste radicali. Il potere rispose con tolleranza zero: quattro giorni dopo, 13 settembre 1971, le truppe dello Stato di New York assalirono e riconquistarono il carcere. La repressione impose un pesante tributo: quasi quaranta morti (circa trenta detenuti e dieci ostaggi) e ottantanove feriti. A causa di questo carattere simbolico il 9 settembre è diventata una data importante anche per la nuova coordinata mobilitazione dei detenuti.

Lotte come questa, nonostante la loro natura intermedia, sono qualitativamente migliorate – paragonate, ad esempio, alle richieste strettamente personali o sindacaliste. Perché questa lotta particolare si riferisce all’abolizione totale di un’istituzione che rappresenta il pilastro della repressione e dell’economia, del controllo sociale e della dottrina di sicurezza. Inoltre, i detenuti stanno conducendo la lotta sotto una repressione estrema e poliedrica, quindi anche chiamarla una lotta intermedia è qualcosa che infine non potrebbe applicarsi a questa situazione. Perché il lavoro forzato nelle carceri è un’istituzione che serve il sistema in molti modi paralleli. Si tratta precisamente dell’istituzione che definisce un ruolo nella zona-grigia per milioni di schiavi ad un periodo determinato o a vita. Il fatto che questi esseri umani sono caratterizzati come criminali legittima la zona grigia negli occhi del resto della società, che non si preoccupa di esprimere qualche obiezione morale o di valore, o ancor’ peggio, beneficia della sua esistenza. Una lotta per l’abolizione e per la negazione di una simile istituzione, una battaglia che comprende anche forme di sabotaggio contro gli interessi di questa istituzione, non è che una barricata della dignità più basilare contro l’aspetto più crudele del Potere. Certamente questa lotta in sé non determinerà la totalità delle politiche di repressione che il dominio può adottare. Indipendentemente dal suo esito questa lotta può essere un faro di disobbedienza civile contro il sistema, e il fatto che questo faro deve la sua forza a tutti i dannati, ai reietti, ai diseredati sociali – che al giorno d’oggi ricevono gli anatemi “rivoluzionari” in alcune occasioni – ha un suo proprio significato speciale.

Naturalmente, non cerchiamo di idealizzare o abbellire, in alcun modo, la totalità dei detenuti. Trovandoci già da alcuni esiliati nel paese della prigionia abbiamo osservato da vicino la composizione della popolazione carceraria, e non nutriamo alcun tipo di illusione che si tratta di qualche specie determinata di soggetti rivoluzionari. Nella maggior parte dei casi, infatti, un abisso di valori ci separa da altri detenuti, a causa delle loro scelte o contraddizioni nel corso della loro vita. Tuttavia, essendo noi stessi incarcerati, non possiamo che sentire l’agonia per tutti questi detenuti negli Stati Uniti.

Al di là di tutto questo, si tratta di un lucido atteggiamento politico che ci permette di mettere da parte le differenze che sentiamo, che possiamo avere con il soggetto dei detenuti, in quanto queste differenze non sono sufficienti per lasciarci indifferenti e impassibili di fronte alla dimensione, alle implicazioni morali, alla posta in gioco, davanti all’eredità storica e politica di una tale lotta. In altre parole, i nostri riflessi di solidarietà non sono stati attivati solamente da un criterio emotivo o sperimentale, ma hanno origine anche in una coerenza politica. Per tutti questi motivi sentiamo il bisogno di esprimere il nostro sostegno alla campagna coordinata iniziata nelle carceri statunitensi il 9 settembre, durante la quale i detenuti rifiutano il ruolo di schiavi imposto dalla società democratica, e di fatto manifestano sprezzo e disobbedienza. E, come è stato detto: “La disobbedienza è il vero fondamento della libertà”.

L’internalizzazione di questa lotta attraverso l’appello degli stessi detenuti, che chiedono sostegno di ogni iniziativa solidale, aumentano le dinamiche della solidarietà internazionale in totale, rendendola, anche simultaneamente, un altro pezzo nel mosaico di appelli alla solidarietà internazionale, come l’11 giungo o la Settimana di Solidarietà Internazionale di ogni agosto. Ma, per noi, non si tratta di limitare la solidarietà a delle date segnate sul calendario; invece si tratta di evidenziare la bellezza e l’autenticità di una coordinazione anarchica informale. Per questo abbiamo accolto la proposta dell’ABC Anarchist Solidarity Cell per coordinare i gesti di solidarietà nella Giornata Internazionale di Solidarietà (1° ottobre), in quanto riteniamo che il loro appello contribuisce a questa direzione.

Infine, vogliamo inviare i nostri calorosi saluti a tutti i detenuti anarchici e politicizzati disposti a far parte di questa lotta, a prescindere dalle loro ragioni.

P.S. Le parole a volte non sono sufficienti ad esprimere l’intensità delle proprie emozioni in certe circostanze. La verità è che siamo stati colpiti dalla notizia che gli sbirri dell’unità antiterrorismo italiana hanno lanciato un altro attacco anti-anarchico contro i compagni in Italia, sotto il nome fantasioso “Scripta Manent” (parole scritte rimangono). Incursioni, perquisizioni, accuse, liste dei sospetti, custodie cautelari...

Ancora una volta l’obiettivo della repressione è la Federazione Anarchica Informale (FAI), ma adesso si sono ricordati di riesumare i casi di ordigni esplosivi collocati nel 2006 e 2007. Anna Beniamino, Marco Bisesti, Emiliano Danilo Cremonese, Valentina Speziale e Alessandro Mercogliano hanno varcato la soglia del carcere, mentre un nuovo ordine di arresto è stato emesso contro i nostri fratelli detenuti Alfredo Cospito e Nicola Gai, membri del Nucleo Olga della FAI (che rivendicarono il ferimento di Roberto Adinolfi, A.D. della Ansaldo Nucleare). In un’indagine separata, nel corso della perquisizione in cui la polizia ha trovato un manuale da elettricista ed alcune batterie, un altro compagno, Daniele, attivo nella Croce Nera Anarchica, è stato accusato di possesso di materiale per possibile costruzione di ordigni esplosivi, quindi anche lui si trova in custodia cautelare. Il concetto di prigionia ci può essere familiare, ma non saremo mai in grado di accettare le cattive notizie dei compagni arrestati, quanto lontano possano essere, senza una stretta nei nostri cuori. I nostri pensieri sono con loro e con tutti gli altri che sono bruscamente entrati in un nuovo capitolo della loro vita – il capitolo del carcere.

Infine, inviamo il nostro più caloroso saluto al nostro fratello Alfredo Cospito. 30 agosto 2016, con il più totale disinteresse verso le conseguenze, ha danneggiato le vetrate divisorie della sala colloqui della sezione di alta sorveglianza del carcere di Ferrara, in solidarietà con la Cospirazione delle Cellule di Fuoco in Grecia, dopo la condanna a 115 anni di prigione recentemente imposta a tutti i suoi membri detenuti.

Compagno, il tuo atto ha illuminato i nostri cuori riempendoci di emozioni. Tali gesti fraterni dimostrano la vera bellezza dell’autentica solidarietà anarchica. Ti auguriamo forza nell’attraversare tutto ciò che potrebbe attenderti dopo.


Membri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco:

Haris Hadtzimihelakis

Theofilos Mavropoulos

Damianos Bolano

Panagiotis Argirou

Giorgos Nikolopoulos

Michalis Nikolopoulos

12 settembre 2016

Carcere di Korydallos (Atene, Grecia)