Titolo: Torino [Italia]: Inizio processo “Scripta Manent” – Dichiarazione del prigioniero anarchico Alfredo Cospito (16/11/2017)
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Il 16/11/2017 è iniziato il processo SCRIPTA MANENT, all’interno dell’aula bunker del carcere “le Vallette” di Torino, il compagno anarchico prigioniero Alfredo Cospito ha letto una lunga dichiarazione. Alfredo non era presente in aula, in quanto sottoposto a videoconferenza dall’interno della sezione AS2 del carcere di Ferrara.

Dichiarazione di Alfredo:


Benevento 14 agosto 1878 – Torino 16 novembre 2017

Processo ai malfattori

“L’unione è solo un tuo strumento, è la spada con la quale accresci a acuisci la tua forza naturale; l’unione esiste grazie a te. La società, invece, reclama molto da te ed esiste anche senza di te; insomma, la società è sacra l’unione è tua propria; la società ti utilizza, l’unione la utilizzi tu” – Stirner

“Signori, il tempo della vita è breve… se viviamo, viviamo per calpestare i re” – Shakespeare, Enrico IV

“Mi dolgo di ogni crimine che nella mia vita non ho commesso, mi dolgo di ogni desiderio che nella mia vita non ho soddisfatto” – Senna Hoy

Voglio essere il più chiaro possibile, che le mie parole suonino come un’ammissione di colpevolezza. Per quanto sia possibile appartenere ad uno strumento, ad una tecnica, con orgoglio e fierezza rivendico la mia appartenenza alla FAI-FRI. Con orgoglio e fierezza mi riconosco nell’intera sua storia. Ne faccio parte a pieno titolo ed il mio contributo porta la firma del “Nucleo Olga”. Se questa farsa si fosse limitata a me e Nicola oggi avrei taciuto. Ma avete coinvolto una parte significativa di tutti coloro che in questi anni ci hanno dato solidarietà, tra loro i miei affetti più cari. A questo punto non posso astenermi dal dire la mia, tacendo mi farei complice dell’infame tentativo da parte vostra di colpire nel mucchio di una parte importante del movimento anarchico. Compagne e compagni trascinati dietro le sbarre e processati non per quello che hanno fatto ma per quello che sono: delle anarchiche e degli anarchici. Processati e arrestati non per aver rivendicato, come ho fatto io, un’azione con l’acronimo FAI-FRI, ma per aver partecipato ad assemblee, scritto su giornali e blog ancor più semplicemente aver dato solidarietà a dei compagni durante un processo. Non mi farò scudo di questi/e compagni/e. In un’epoca in cui le idee non contano essere processati e arrestati per un’idea la dice lunga sulla forza dirompente che una cera visione dell’anarchia continua ad avere e molto dice anche sul guscio vuoto che è la democrazia e le cosiddette libertà democratiche. Avete le vostre ragioni, non lo nego, in fondo non esistono anarchici buoni, in ogni anarchico e anarchica cova il desiderio di scaraventarvi giù da quello scranno. Da parte mia nessun tentativo di spacciare la FAI-FRI per associazione ricreativa o club delle giovani marmotte. Chi ha fatto uso di questo strumento o come direste voi digiuni di anarchia “chi è della FAI-FRI” lo rivendica a testa alta come i miei fratelli e sorelle arrestati in passato, come io stesso a Genova anni fa ed oggi in quest’aula. È la nostra storia che ve lo insegna, storia che stiamo pagando, mai martiri, mai arresi, con anni di galera e isolamento in mezzo mondo. Chi non fa parte di questa nostra storia trascinato in catene davanti a voi tace per solidarietà, per affetto, per amore, per amicizia, sentimenti questi impensabili, incomprensibili per voi servitori dello stato. La vostra “giustizia” è sopraffazione del più forte sul più debole. Vi garantisco, in questo processo, tra gli imputati, vigliacchi e opportunisti non ne troverete. Il prezzo della dignità è incalcolabile ed i suoi doni sono disperati e costosi oltre ogni limite e immaginazione e vale sempre la pena pagare quel prezzo , ed io sono pronto a pagarlo in ogni momento. Per voi non dovrebbe avere alcuna importanza se sono stato realmente io a mettere quelle bombe. Perché mi sento comunque complice di quei fatti come di tutte le azioni rivendicate FAI-FRI. Tanto più perché le azioni di cui mi accusate sono tutte in solidarietà di migranti e anarchici prigionieri e le condivido in pieno. Come non sentirmi complice quando quelle esplosioni sono state per me come bagliori di luce nell’oscurità. Per quanto stupido possa sembrarvi, per me esiste un prima e un dopo la FAI. Un prima in cui ero fanaticamente e stupidamente convinto che solo le azioni non rivendicate avessero un’utilità, una riproducibilità, convinto che l’azione distruttiva dovesse necessariamente parlare da sola e che ogni acronimo fosse lo sterco del demonio. Un dopo in cui, con la pistolettata ad Adinolfi, misi in discussione questi dogmi insurrezionalisti giungendo a concretizzare queste mie nuove convinzioni in un’azione. Poca cosa, direbbe, qualcuno, e sarebbe vero se dietro quel semplice acronimo non ci fosse un metodo che potrebbe realmente per noi anarchici della prassi fare la differenza al di là e al di fuori di repressione, repressioni ed aule di tribunale. Per quanto limitato sia stato il mio contributo, per quanto sia arrivato in ritardo mi sento complice in tutto e per tutto dei fratelli e delle sorelle che hanno iniziato questo cammino. Chiunque siano, dovunque siano, spero non me ne vorranno se faccio mie le loro azioni, mi rappresentano. Poco importa se non li ho mai guardati negli occhi, ho letto le loro parole di fuoco, le ho condivise, approvo le loro azioni e questo mi basta, in me nessuna volontà di appropriazione, piuttosto una forte orgogliosa volontà di condivisione di responsabilità. Giudici, mi sarebbe piaciuto sputarvi in faccia (come feci a Genova) una mia responsabilità diretta nei fatti che mi imputate, ma non posso appropriarmi di meriti e onori che non sono i miei, sarebbe una forzatura troppo grossa. Dovrete e dovrò accontentarmi di quella che voi nel vostro linguaggio impregnato di autoritarismo definireste “responsabilità politica”. Non disperate, bravissimi come siete ad inventarvi prove granitiche per quanto cervellotiche ed a resuscitare stupefacenti DNA per quanto inconsistenti dall’oblio di archiviazioni passate, non avrete alcuna difficoltà a portare a casa un bel bottino di anni di galera. E poi, se proprio volete saperlo, una mia condanna ci sta tutta, fosse solo per la mia adesione alla FAI-FRI, adesione ad un metodo non ad un’organizzazione, per non parlare poi della mia ferma concreta volontà di distruggervi e di distruggere tutto quello che rappresentate. Avete colpito a caso negli affetti più cari, parentele, amicizie sparando a zero. Gli scrupoli morali non sono il vostro forte, avete ricattato, minacciato, usato l’allontanamento di bambini dai propri genitori come strumento di coercizione ed estorsione. Compagne e compagni che nulla c’entrano con la FAI-FRI trascinati davanti a voi con accuse e prove insulse. Uno dei motivi, non il principale, per il quale rivendicai la FAI-FRI fu quello di non esporre il movimento anarchico ad una facile criminalizzazione. Oggi mi ritrovo in aula a contrastare la vostra rappresaglia, il vostro meschino tentativo di mettere sul banco degli imputati “Croce Nera”, periodico storico del movimento anarchico che con i suoi alti e bassi dagli anni sessanta svolge il suo ruolo di appoggio ai prigionieri di guerra anarchici. Nei vostri deliri fascistoidi tentate di far passare “Croce Nera” come organo di stampa della FAI-FRI. Non si erano spinti a tanto neanche nel 1969 in piena campagna anti-anarchica. All’epoca i vostri colleghi, una volta avuta la loro libbra di carne umana con l’uccisione del fondatore della “Croce Nera” italiana, Pinelli, si limitarono all’incriminazione di singoli compagni per fatti specifici, sappiamo poi tutti come andò a finire. Oggi che il sangue scarseggia voi non vi limitate alle accuse per azioni specifiche a quattro compagni e vi spingete oltre, fino a criminalizzare una fetta intera di movimento. Tutti coloro che hanno fatto parte della redazione di Croce Nera, che hanno scritto su di essa o che anche solo hanno assistito alle sue presentazioni pubbliche, nella vostra ottica inquisitoria fanno tutti parte della FAI-FRI. La mia orgogliosa partecipazione alla redazione di “Croce Nera” e di altri periodici anarchici non fa di questi giornali degli organi di stampa della FAI-FRI. La mia partecipazione è individuale, ogni anarchico è una monade, un’isola a parte, il suo contributo è sempre individuale. Mi avvalgo dello strumento FAI-FRI solo per fare la guerra. L’uso di questo strumento, l’adesione al metodo che ne consegue, non coinvolge tutta la mia vita di anarchico, non coinvolge in niente gli altri redattori dei giornali con i quali collaboro. Una caratteristica della mia anarchia è la multiformità delle pratiche messe in campo, tutte ben distinte. Io rispondo solo per me, ognuno risponde per se stesso. Non mi interessa conoscere chi rivendica con l’acronimo FAI-FRI, con loro comunico solo attraverso le azioni e le parole che le seguono. Ritengo controproducente conoscerli personalmente e neanche li vado a cercare, tanto meno per farci un giornale insieme. La mia vita di anarchico, anche qui in prigione, è ben più complessa e variegata di un acronimo e di un metodo e lotterò fino allo stremo affinché il cordone ombelicale che mi lega al movimento anarchico non venga reciso dall’isolamento e dalle vostre galere. Ficcatevelo bene in testa, la FAI-FRI, senza nulla togliere alla controinformazione, non edita giornali e blog. Non necessita di spettatori o di tifoso o specialisti della controinformazione, non basta guardare a lei con simpatia per diventarne parte, bisogna sporcarsi le mani con le azioni, rischiare la propria vita, metterla in gioco, crederci veramente. Anche delle teste bacate dall’autoritarismo come le vostre dovrebbero averlo capito, della FAI-FRI fanno parte solo gli anonimi fratelli e sorelle che colpiscono usando quell’acronimo ed i prigionieri/e anarchici/e che ne rivendicano l’appartenenza, il resto sono generalizzazioni e strumentalizzazioni ad uso della repressione. Colgo ora l’occasione che con questo processo mi date per togliermi il bavaglio soffocante della censura e dire la mia su argomenti che mi stanno a cuore nella speranza che le mie parole possano arrivare, oltre queste mura, ai miei fratelli e sorelle. La mia “comunità di appartenenza” è il movimento anarchico con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni. Quel mondo ricco e variegato in cui ho vissuto gli ultimi trent’anni della mia vita, vita che non cambierei con nessun’altra. Ho scritto su giornali anarchici, continuo a scriverci, ho partecipato a manifestazioni, scontri, occupazioni, ho fatto azioni, ho praticato la violenza rivoluzionaria. La mia “comunità di riferimento” sono tutti coloro miei fratelli e sorelle che usano il metodo FAI-FRI per comunicare, nel mio caso, senza conoscersi, senza organizzarsi, senza coordinarsi, senza cedere libertà alcuna. Non ho mai confuso i due piani, la FAI-FRI è semplicemente uno strumento, uno dei tanti a disposizione degli anarchici/e. Uno strumento unicamente per fare la guerra. Il movimento anarchico è il mio mondo, la mia “comunità di appartenenza”, il mare in cui nuoto. La mia “comunità di riferimento” sono gli individui, nuclei di affini, le organizzazioni informali (coordinamenti di più gruppi) che comunicano, senza contaminarsi, attraverso l’acronimo FAI-FRI parlandosi per mezzo delle rivendicazioni che seguono le azioni. Un metodo questo che dà anche a me anticivilizzatore, antiorganizzatore, individualista, nichilista la possibilità di unire le forze con altri individui anarchici, organizzazioni informali (coordinamenti di più gruppi), nuclei di affini senza cedere loro libertà, senza rinunciare alle mie personali convinzioni e tendenze: mi definisco anticivilizzatore perché credo che il tempo a nostra disposizione sia limitatissimo prima che la tecnologia, prendendo coscienza di sé, domini definitivamente la razza umana. Mi definisco antiorganizzatore perché mi sento parte della tradizione antiorganizzatrice illegalista del movimento anarchico, credo nei rapporti fluidi, liberi tra anarchici/e, credo nel libero accordo, nella parola data. Mi definisco individualista perché per mia natura non potrei mai delegare potere e decisioni ad altri, mai potrei far parte di un’organizzazione informale o specifica che sia. Mi definisco nichilista perché ho rinunciato al sogno di una futura rivoluzione per la rivolta ora, subito. La rivolta è la mia rivoluzione e la vivo ogni qualvolta mi scontro con violenza con l’esistente. Credo che il nostro compito principale oggi sia quello di distruggere. Grazie alle “campagne di lotta” della FAI-FRI mi regalo la possibilità di potenziare rendendo più incisiva la mia azione. “Campagne di lotta” che devono necessariamente scaturire da azioni che chiamano altre azioni, non da appelli o assemblee pubbliche, tagliando così di netto meccanismi politici di autorevolezza di cui le assemblee di movimento sono piene. L’unica parola che conta è quella di chi colpisce concretamente. Il metodo assembleare, a parer mio, è un’arma spuntata per far la guerra, inevitabile e fruttuosa in altri ambiti. Aderendo con le mie forze alle “campagne di lotta” della FAI-FRI, nel mio caso da individualista senza far parte di alcuna organizzazione informale (coordinamento di più gruppi), usufruisco di una forza collettiva che è qualcosa di più e di diverso della semplice somma matematica delle singole forze sprigionate da singoli gruppi affini, individui e organizzazioni informali. Questa “sinergia” fa in modo che “il tutto”, la FAI-FRI, sia qualcosa di molto più della somma dei soggetti che la compongono. Tutto questo salvaguardando la propria autonomia individuale grazie alla mancanza totale di collegamento diretto, conoscenza, con i gruppi e organizzazioni informali e singoli anarchici che rivendicano con quell’acronimo. Ci si dà un acronimo in comune per dar modo agli individui, gruppi, organizzazioni informali di aderire e riconoscersi in un metodo che salvaguarda in maniera assoluta i propri progetti particolari, chi rivendica FAI-FRI aderisce a quel metodo. Niente di ideologico e politico, solo uno strumento (rivendicazione attraverso un acronimo) prodotto di un metodo (comunicazione tra individui, gruppi, organizzazioni informali attraverso le azioni) che ha l’obiettivo di rafforzare nel momento dell’azione senza omologare, appiattire. L’acronimo è importante garantisce una continuità, stabilità, costanza, crescita quantitativa, una storia riconoscibile ma in realtà la vera forza, la reale svolta, consiste nel metodo semplice, lineare, orizzontale, assolutamente anarchico della comunicazione diretta attraverso le rivendicazioni senza intermediari, senza assemblee, senza conoscersi, senza esporsi eccessivamente alla repressione, comunica solo chi agisce, chi si mette in gioco con l’azione. È il metodo la vera innovazione. L’acronimo diventa controproducente se tracima oltre il compito per il quale è nato cioè riconoscersi in quanto fratelli e sorelle che adottano un metodo. Tutto qui. La pratica è la nostra cartina di tornasole, è nella pratica che si testa l’efficacia di uno strumento. Bisogna prendere atto che l’esperienza FAI-FRI, in continua evoluzione, ci mette davanti a trasformazioni repentine, caotiche; non bisogna rimanerne spiazzati. L’immobilismo e la staticità rappresentano la morte, la nostra forza è l’esplorazione di nuove strade. Il futuro di quest’esperienza non è, certamente, in una maggiore strutturazione, ma nel tentativo, carico di prospettive, di collaborazione tra singoli anarchici, gruppi di affini, organizzazioni informali, senza mai contaminarsi a vicenda. Le istanze di coordinamento devono rimanere all’interno della singola organizzazione informale, tra singoli gruppi o nuclei che la compongono, senza tracimare all’esterno, senza coinvolgere le altre organizzazioni informali FAI-FRI e soprattutto, i gruppi e i singoli anarchici FAI-FRI che altrimenti vederebbero minata alla base la propria autonomia, la propria libertà, il senso stesso del proprio agire al di fori di organizzazioni e coordinamenti. Solo così se si creano dinamiche autoritarie all’interno di un gruppo, di un’organizzazione, rimarranno circoscritte lì dove sono nate, evitando il contagio. Non esiste un tutt’unico, non esiste un’organizzazione chiamata FAI-FRI, esistono individui, gruppi affini, organizzazioni informali tutte ben distinte che comunicano attraverso l’acronimo FAI-FRI, senza mai entrare in contatto tra di loro. È stato scritto e detto molto sulle dinamiche interne dei gruppi di affinità, sull’organizzazione informale e l’azione individuale. La comunicazione tra queste pratiche, al contrario, non è stata mai esplorata, mai presa in considerazione. La FAI-FRI è il tentativo di mettere in pratica questa comunicazione. Azioni individuali, gruppi di affinità, organizzazioni fanno parte tutti allo stesso titolo di quegli strumenti che gli anarchici storicamente si sono sempre dati. Ognuno di questi strumenti ha dei vantaggi e degli svantaggi. Il gruppo di affinità unisce la velocità operativa dovuta alla grande conoscenza tra gli affini ad una certa potenza dovuta all’unione di più singoli. I suoi grandi pregi: libertà del singolo garantita e notevole resistenza alla repressione. Pregi dovuti all’esiguo numero degli affini ed al grande affetto ed amicizia che necessariamente li lega. L’organizzazione, nel nostro caso informale (coordinamento di più gruppi), garantisce una fortissima disponibilità di mezzi e forza, ma una vulnerabilità elevata dovuta alla necessaria coordinazione (conoscenza) tra i gruppi o nuclei, colpito uno si rischi l’effetto “domino”, cadono tutti. Dal mio punto di vista la libertà individuale si scontrerà per forza maggiore con i meccanismi decisionali collettivi (“regole” di funzionamento dell’organizzazione). Questo aspetto rappresenta una drastica riduzione di libertà e autonomia indigeribile per un anarchico individualista. L’azione individuale garantisce una velocità operativa elevata, un’imprevedibilità molto alta, una fortissima resistenza alla repressione e soprattutto una totale libertà, l’individuo non deve rendere conto a niente e a nessuno se non alla propria coscienza. Un grande difetto: la bassa potenzialità operativa, si hanno sicuramente meno mezzi e possibilità di portare avanti operazioni complesse (cosa che al contrario un’organizzazione informale, se c’è volontà e fermezza, può fare con una certa facilità). Sperimentare l’iterazione tra modi di muoversi così radicalmente diversi, questa è l’innovazione, il nuovo che può spiazzare e renderci pericolosi. Nessuna ambigua mescolanza, gruppi, singoli, organizzazioni informali non devono mai entrare in contatto diretto. A ognuno il suo, gli ibridi ci indebolirebbero. Uniti più che da un acronimo, da un metodo. La FAI-FRI dà il modo di unire le forze senza snaturarsi a vicenda. Nessun moralismo o dogmatismo, ognuno si rapporta liberamente come vuole probabilmente sarà il mescolarsi di tutto questo a fare la differenza. Nessun coordinamento al di fuori della singola organizzazione informale (perché il coordinamento include la conoscenza fisica tra tutti i gruppi e organizzazioni rendendoli permeabili alla repressione), nessuna sovrastruttura omologante, egemonica, che schiacci singoli o gruppi affini. Chi sperimenta nel proprio agire l’organizzazione informale non deve imporre al di fuori di essa il proprio modo di muoversi, come i singoli individui d’azione ed i gruppi di affinità “solitari” non devono gridare al tradimento dell’idea se fratelli e sorelle agiscono in schiere compatte e organizzate. Naturalmente questo è solo il mio punto di vista e vale per quello che vale. Per finire in bellezza vi dirò che sul vostro codice penale piscio con spensieratezza e allegria. Poco importa cosa deciderete sul mio conto, il mio destino rimarrà saldamente nelle mie mani. Ho le spalle grosse, o almeno mi illudo di averne e la vostra galera e il vostro isolamento non mi fanno paura, sono pronto a fronteggiare le vostre ritorsioni mai domato, mai arreso.

Lunga vita alla FAI-FRI

Lunga vita alle CCF

Morte allo stato!

Morte alla civilizzazione!

Viva l’Anarchia!!

Alfredo Cospito