Titolo: Valparaiso(Cile) / Grecia: Alcune parole e riflessioni che necessitano di essere rispolverate
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Il 5 maggio 2010 in Grecia è stato indetto un nuovo sciopero generale. Una grande manifestazione e rivolte selvagge hanno scosso Atene, mentre alcuni manifestanti tentavano di entrare in parlamento, scontrandosi con la polizia, vari negozi sono stati saccheggiati e incendiati. In questo contesto un gruppo di compagni anarchici attacca e lancia dei molotov contro una filiale della banca Marfin, incendiandola, senza accorgersi dei tre impiegati rimasti bloccati nell’istituto finanziario, che morirono nell’incendio.

Questo fatto è stato utilizzato fino a giorni nostri per recriminare le azioni di violenza anarchica di strada, sia dalla stampa e dai potenti che da settori pacifisti e cittadinisti.

Nel 2013 è stato arrestato il compagno Thodoris Sipsas, con l’accusa di attacco incendiario contro la banca e di morte dei tre dipendenti, alla fine assolto da tutti i capi d’accusa. Nello stesso anno, furono condannati tre alti dirigenti della Banca Marfin per non aver protetto la vita dei propri dipendenti.

La Cospirazione delle Cellule di Fuoco elabora una riflessione completa sui fatti accaduti durante quelle giornate e sulla situazione del movimento anarchico. E’ importante riconoscere le differenze tra i fatti accaduti in Grecia e a Valparaíso, principalmente per il corso degli eventi durante l’attacco incendiario. In Grecia l’attacco è stato contro una banca, dove nonostante apparisse chiusa, dentro c’era ancora gente, mentre a Valparaíso l’attacco incendiario è stato contro una farmacia, e il fumo dell’incendio avrebbe causato il soffocamento di un dipendente municipale, bloccato vari piani più sopra.

Prendendo in considerazione queste differenze, lo scambio di esperienze e riflessioni su situazioni simili risulta sempre utile, sempre miranti a rafforzare la lotta anarchica, la lotta di strada e lo scontro.


COMUNICATO DELLE CCF SULLA MORTE DI 3 DIPENDENTI DELLA BANCA MARFIN DURANTE LO SCIOPERO GENERALE IN GRECIA

(testo in traduzione italiana pubblicato su informa-azione nel giugno 2010)

Nota del (mal)traduttore [in spagnolo]: Qui di seguito abbiamo deciso di divulgare la traduzione di uno degli ultimi comunicati della cospirazione delle cellule di fuoco, con qualche ritardo però non per questo meno importante nel suo contenuto e in diverse questioni. Si è cercato di mantenere intatto il significato delle frasi e l’obiettivo, per ottenere una traduzione attendibile, sarebbe quindi inopportuno cercare cattive intenzioni, ma semplicemente una banale e scarsa capacità poliglotta del (mal)traduttore.

Il testo fa riferimento agli avvenimenti del 5 maggio 2010, quando in un contesto di sciopero generale con strade piene di manifestanti, durante il tentativo di attaccare il parlamento ed entrarci, gli anarchici attaccarono con delle molotov una filiale della banca Marfin, che sembrava chiusa, provocando un incendio che si concluse con la morte di tre dipendenti, trovatisi all’interno.

La stampa, da parte sua, ha svolto il proprio lavoro di completamento, dipingendo gli antiautoritari come assassini assetati di sangue, mentre diversi gruppi anarchici iniziarono a parlare di “agenti provocatori”, “montaggi” o facendo una mera e nefasta critica infame degli “incappucciati”.

Per comprendere appieno la (mal)traduzione che segue, è importante comprendere la continuità delle manifestazioni di massa e scioperi generali (sei in un anno) e il ventaglio di diverse tendenze esistenti sulla scena anarchica.

Sebbene si distinguono tre cellule (anarchici sociali – insurrezionalisti – individualisti nichilisti), è importante saperle contestualizzare per non cadere in un stupido copia/incolla di schemi e organigrammi della lotta. Non possiamo tenere per chiare le differenze tra le pratiche insurrezionali in Grecia e quelle sviluppatesi in Cile, le caratteristiche di coloro che si autodefiniscono così in questa regione potrebbero essere diverse da quelli che si definiscono così nel territorio in cui viviamo, ma la critica e la riflessione lanciata dalle cellule ci riguarda tutti, essere in grado di trasferire nel nostro contesto queste analisi è di massima importanza.

L’attacco a Marfin avrebbe potuto essere una fotocopia, in un certo senso, dell’attacco contro la farmacia croce verde del 21 aprile 2010 (in una strana marcia per i prigionieri politici che mai si realizzò, per iniziare e concludere con l’attacco ad una farmacia a pochi isolati dal punto di partenza), però è importante notare le differenze nel contesto di massa e di dinamiche di lotta di strada nei territori diversi.

Anche se non riteniamo nostre le tendenze nichiliste e individualiste all’interno della lotta rivoluzionaria, apprezziamo e valutiamo fraternamente i progetti che si stanno tessendo in Grecia per quanto riguarda una critica alla società come un insieme di relazioni di potere, senza che questa critica cada in un ermetismo o autismo di pratiche rivoluzionarie (da qui l’importanza della proposta della cospirazione delle cellule di fuoco di continuare a mantenere la lotta in tutte le sue forme). E anche così, l’odierna storia del nichilismo rivoluzionario in Grecia non ci pare completamente chiara per poter valutare e prevedere questa tendenza particolare, importante è osservarla, conoscerla, comprenderla come gesto sincero di lotta contro il dominio.

[p.s. anche se il sito di anarhija.info è di chiara “tendenza nichilista e individualista” si è ritenuto interessante riportare questa riflessione dei compagni cileni]

Cospirazione delle cellule di fuoco – Comunicato sui fatti del 5/5/10

“…e la morte non avrà alcun potere…”

Negli incidenti del 5 maggio, nell’incendio dello sportello bancario della Marfin bank, ci sono stati tre impiegati di banca morti e centinaia di verità carbonizzate.

La soffocante atmosfera di ipocrisia, propaganda strappalacrime e il consunto moralistico umanismo delle Cassandre del movimento radicale, ci ha obbligati a prendere posizione su questi eventi pubblici. Ciò non vuol dire che parliamo dalla posizione degli “specialisti” della violenza, né che “automaticamente” siamo identificati come persecutori o difensori pubblici delle persone che hanno attaccato l’edificio della banca.

Ma crediamo sia necessario dire qualcosa per “metterli in riga”. Per fare questo non è necessaria l’esperienza diretta, per capire cosa sia successo quel giorno in quel luogo specifico. C’è bisogno, secondo noi, di un atteggiamento serio e responsabile verso lo stesso tipo di pratiche rivoluzionarie (come bruciare una banca), per l’analisi e la (auto)critica di un fatto reale (la morte di tre impiegati che non erano l’obiettivo della violenza rivoluzionaria).

Il nichilismo rivoluzionario che noi esprimiamo implica un pensiero preciso e una pratica che è stata costruita lontano dalle dimostrazioni di falso cinismo “loro erano impiegati di banca quindi chi ha dato loro fuoco ha fatto bene”, ma anche lontano dai lamenti ipocriti che ricercano colpevoli per attribuirgli tutte le responsabilità, pontificando dalla posizione degli infallibili umanisti rivoluzionari.

Prendiamo le cose dal principio…

Nella metropoli e nella parodia della vita di cui abbiamo esperienza, la morte non è diversa dagli altri eventi giornalistici, un’informazione distante, tra molte altre, una colonnina su un giornale, un’altra statistica…

Ogni giorno la gente muore negli ospedali di malattie, in macchina per gli incidenti, sul lavoro, nei sottopassaggi di droga… e vogliono che impariamo ad essere indifferenti a queste decine di morti anonime.

Perché sono solo numeri “tre morti per incidente stradale, due morti per droga”. Non “vendono” sui media, appaiono avvolte da un presunto involucro umanitario, quindi non convincono.

Sono morti che in poche parole non interessano al sistema. Tutti gli esecutori televisivi, dai più conservatori ai più presunti sovversivi, apparentemente shoccati dai tre morti della Marfin, non si sarebbero soffermati un secondo se si fossero trovati davanti, come queste, tutte le morti anonime del sistema che servono fedelmente. La verità è che sui fatti del 5 maggio sono stati pianificati uno sciacallaggio osceno e una potente mercificazione di sentimenti nell’interesse del sistema.

Perdite circostanziali e sciacallaggio emozionale

Di fronte alla crisi sociale imminente, lo spettacolo della morte, ha causato il suo stesso cortocircuito. Le proteste “si sono ritirate”, sono seguiti i sondaggi dell’opinione pubblica contro le manifestazioni e gli scioperi, i fiori del Primo Ministro sono stati deposti in diretta tv, gli sbirri hanno fatto irruzione nello squat in Zaimi e al ritrovo dei migranti a Exarchia, sono cominciati i titoli di prima pagina dei giornali sugli “anarchici assassini”, i fascisti hanno indetto un presidio fuori dalla banca e la situazione ha raggiunto la fase della rinnegazione pubblica di “bande del genere”, della “confusione mentale individual-caos-nichilista” e degli “assassini idioti”, da parte di pittoreschi e buffi anarchici.

Ma, a parte la propaganda e le sue tecniche, i fatti rimangono fatti. Tre impiegati di banca, senza che fossero l’obiettivo, sono morti durante l’incendio della banca dove lavoravano. Questa è la nostra occasione per non cadere nella trappola delle statistiche né della manipolazione emotiva. Sicuramente non parleremo la lingua del “momento di cattiveria” o delle “perdite circostanziali”. Questo è il linguaggio del nemico, e ricorda l’oratoria dell’esercito americano in Afghanistan. D’altra parte non fingeremo di commemorare le tre persone morte che, per quanto possa suonare spiacevole alle loro famiglie, sarebbero ancora un’altra notizia sterile nel sistema, se non fossero state il risultato, in uno specifico spazio e tempo, di una pratica rivoluzionaria.

In poche parole, non ci rivendichiamo nessuno spazio sentimentale nella “balla dello spettacolo”, fingendo di essere scossi attraverso un delirio umanitario televisivamente istigato, nel quale sono rimaste intrappolate diverse persone dello stesso movimento radicale. No, non giochiamo il ruolo delle persone “rigide che pensano solo alle “cause”, ma crediamo che se queste tre morti fossero avvenute come “incidentali” in un incidente stradale, sarebbero state in pochi a saperne qualcosa. Quindi non è il triste evento della morte che agisce come catalizzatore nel creare un’atmosfera di torpore e scomoda, ma la causa che l’ha generata. Di conseguenza, evitando lo sciacallaggio emotivo, dovrebbero avere fine le meditazioni e si dovrebbe procedere verso la radice del problema.

È vero che se qualcuno vuole cercare brutali assassini, allora dovrebbe guardare nelle file di Vgenopoulos (il direttore della banca) e di persone del suo genere. La sua amministrazione e il suo comando, in congiunzione con la loro accettazione da parte dello staff, sono ciò che li ha portati ad andare a lavorare in una banca all’apparenza chiusa, senza misure di sicurezza antincendio e con le porte bloccate. I bastardi come Vgenopoulos sono gli istigatori di decine di morti sul lavoro, fisiche e mentali, sia nella morte accidentale, sia nell’umiliazione quotidiana e nelle condizioni di contratti d’impiego che impongono una disciplina. Tenendo questo come dato, possiamo così far fronte alle nostre stesse imprecisioni, mancanze, errori, negligenze, ora possiamo prendere l’uscita di sicurezza da un pensiero di parte, che vuole solo accusare tutti i padroni e liberarci, ma che non ci fa evolvere…

Cosa si accusa allora, per la morte dei tre impiegati di banca?

La pratica rivoluzionaria del “colpisci e scappa”

Parliamo ora di opinioni, strategie e abitudini. Prima di tutto, da decenni il “colpisci e scappa” è una pratica nota in Grecia in tutte le grandi manifestazioni. Ci riferiamo alla creazione di piccoli gruppi “d’attacco” di militanti anti-autoritari che escono dal corpo del corteo e colpiscono in punti pre-individuati (banche, postazioni giornalistiche, polizia antisommossa), per poi tornare nella massa della gente per colpire ancora o sparire. Riguardo alla dimensione politica della pratica bisogna sottolineare che il “colpisci e scappa” non appartiene esclusivamente a nessuna tendenza anarchica in particolare. Gli anarchici “della società”(soprattutto i più vecchi che ne costituiscono la parte più ingente) usa il “colpisci e scappa” con la logica della deviazione del corteo e della diffusione del conflitto. In questo modo intendono funzionare da detonatore per l’esplosione sociale e contribuire all’inasprimento della lotta.

La fase insurrezionalista intermedia ha ereditato la pratica del “colpisci e scappa”, con qualche sviluppo organizzativo e si attua perlopiù nel momento sperimentale del conflitto e delle relazioni (solidarietà, auto-organizzazione, superamento dei ruoli) che si sviluppano dai modelli imposti di sovranità. Il componente comune alle due correnti, è identificare le manifestazioni unitarie come momenti di lotta sociale, così sia gli anarchici “della società”, sia gli insurrezionalisti portano avanti la loro presenza e la loro azione attraverso essa.

Il nuovo livello dell’anarchia individualista nichilista, il terzo polo, come l’abbiamo descritto, plasma una nuova percezione della relazione tra lotta sociale e manifestazioni. Nella massa di decine di migliaia di persone che si accalca alle manifestazioni di massa, noi non riconosciamo necessariamente gente che condivide i nostri stessi codici di valori e che parla il linguaggio della liberazione. La mobilitazione sociale è un mismas di inconsistenze e comportamenti che includono tutte le derive del pensiero umano, dal conservatorismo provinciale, al patriottismo di sinistra, l’alternativismo, il riformismo, fino alla visione anarchica.

La manifestazione funziona come somma di migliaia di persone separate l’una dall’altra, con diverse direzioni, talvolta anche ostili l’una con l’altra, riunite per o in occasione di un’azione comune (come norma di assicurazione). La grande maggioranza della composizione di queste manifestazioni chiede il ritorno alla vecchia routine quotidiana (precedente alla legislazione che viola i loro diritti di prima), o nella versione più sinistrorsa, il miglioramento della regolarità con soluzioni più progressiste e umanitarie, all’interno dei limiti del capitalismo, o dello statalismo comunista. Non è una coincidenza che i principali slogan delle manifestazioni richiedano l’applicazione di leggi eque contro le misure anticostituzionali del governo.

Anche la deriva violenta di un’intera manifestazione è spesso un coagulo di contraddizioni. Durante l’aggressivo assedio del parlamento nel corso del 5 maggio, alcuni dimostranti cantavano l’inno nazionale, alcuni tiravano pietre, altri invitavano i poliziotti antisommossa a unirsi a loro, il partito comunista ha identificato i “casinisti”, altri rimproveravano chi sfasciava le banche e altri ancora li applaudivano, gli anarchici costruivano barricate. Un pantheon di tutti i comportamenti con migliaia di ripetizioni degli ultimi 30 anni e oltre.

Avanguardia rivoluzionaria e militarismo rivoluzionario

Noi e la nostra percezione non costituiamo un’avanguardia rivoluzionaria illuminata né una cricca elitaria. Ciascuno di noi ha provato le contraddizioni, ne è stato coinvolto, vi ha partecipato dove necessario per il proprio sviluppo personale e spirituale. Qualche esperienza diversa, qualche conversazione e osservazione collettiva, qualche pagina interessante di libri e manuali, il pensiero individuale e il desiderio di inasprire l’azione rivoluzionaria, tutto ciò chiede di ri-pensare la partecipazione alle manifestazioni. Per lo spazio di pensiero e azione che noi esprimiamo, non siamo completi solo quando avviene il conflitto.

Noi crediamo nell’impatto delle strutture organizzate e nel punto di vista rivoluzionario attento alla memoria, al presente e alle prospettive future. Non c’è alcuna relazione tra l’anarchico a volto coperto che tira molotov perché rifiuta i resti che gli vengono offerti per vivere, la cultura dello spettacolo, il valore del denaro, la coscienza intorpidita, e gli impiegati “arrabbiati” che alzano la testa solo quando sentono la vuotezza nelle loro tasche, ma solo per un po’. È la stessa persona che prima si sentiva a proprio agio nella regolarità e che è stata infastidita dai “casinisti”. C’è un enorme lacuna di valori che nessuna violenza né momento di conflitto possono colmare, se non c’è la consapevolezza essenziale e autocoscienza. In questa direzione di consapevolezza rivoluzionaria, noi consideriamo che i proclami, i testi, i libri, i pamphlet, gli slogan sui muri, i poster, siano un contributo. Questo è il nostro attacco di propaganda teorica contro un sistema che deve morire. E le manifestazioni? Anche le manifestazioni contribuiscono, ma dobbiamo cominciare a vederle in una prospettiva nuova. Nessuno nasce guerrigliero o rivoluzionario, ma è un processo progressivo di evoluzione, per arrivare a definire la tua vita senza compromessi.

Manifestazioni come quella del 5 maggio, sono i preliminari necessari, l’accesso confortevole per coloro i quali vogliono entrare in iniziale contatto con la violenza rivoluzionaria. Attraverso essi, la diffusione del “colpisci e scappa”, in condizioni sfavorevoli, con centinaia di sbirri in città, è un’esperienza di formazione per quelli che vogliono testare gli strumenti teorici e pratici in condizioni di battaglia metropolitana. Queste sono le dispense adatte per lo sviluppo delle pratiche di forme altre d’azione per la nuova guerriglia. È nostro scopo creare il “MILITARISMO RIVOLUZIONARIO”: una percezione anti-gerarchica e senza leader, ranghi e sottoposti, che promuoverà la creazione di piccoli gruppi flessibili di battaglia antiautoritari per tracciare una mappa degli obbiettivi nella città, equipaggiati adeguatamente, svilupperanno relazioni con i loro rispettivi gruppi di affinità, saranno aperti (con le dovute precauzioni) a nuovi compagni, stabiliranno piani di attacco e useranno (senza che si trasformi in ostilità) le manifestazioni per i “diritti dei lavoratori” come un cavallo di Troia delle campagne rivoluzionarie. Quindi non esiste nessuna questione sul partecipare o meno alle manifestazioni, ma solo la questione di un’evoluzione.

Noi crediamo che solo attraverso la dimensione organizzata della violenza rivoluzionaria saranno promosse le conseguenti continuità e severità che “proibiranno” ulteriori “fallimenti” con i tragici risultati della Marfin. Solo in questo modo la nuova guerriglia si può diffondere come percezione e pratica, causando il caos nella sterile routine della noia organizzata.

Gli informatori e le conseguenze

Tutte queste cose sono scritte come contributo ad un campo dialettico di pensiero e azione tra correnti politiche differenti, e non per giustificare o coprire qualcosa. È noto che lo specifico attacco alla Marfin non ha un marchio ideologico preciso, del pensiero politico, e dei contenuti delle persone che hanno agito lì. La base del target (lo sportello bancario), avrebbe potuto essere bruciata da chiunque di qualunque tendenza politica dell’anarchismo e non solo. Ma certamente è più conveniente per gli “squali degli auditorium” attribuire azioni a giudicare dai risultati alla nostra corrente politica.

Le dichiarazioni di lealtà e i testi di umanità missionaria messi in circolazione da alcuni collettivi anarchici con la certezza della sentenza sull’origine dei “perpetratori”, hanno dato la riprova finale della vacuità di argomentazione politica sullo “spezzone nichilista” che “parassita ai danni dell’anarchia”. Il loro essere così picareschi non ci interessa, ma ci interessa quando alcuni di loro raggiungono il livello pericoloso di “fotografare” persone negli auditorium e nelle caffetterie per soddisfare le orecchie curiose della polizia, allora questi individui saranno trattati come meritano, come INFAMI della polizia, e con tutto ciò che ne consegue.

Azione mirata e fallimenti autistici

Ritornando al come e al perché, nel caso della Marfin, indipendentemente da quale tendenza anarchica si senta ciascuno di esprimere come individuo o collettivamente, bisogna riconoscere che i tre movimenti (anarchici “della società.”, insurrezionalisti, individualisti-nichilisti) hanno una caratteristica comune. La chiara definizione di azioni mirate (edifici governatici, forze dell’ordine costituito, simboli di ricchezza). I tre impiegati che lavoravano nel giorno dello sciopero, di certo non possono essere considerati nemici, come neppure alleati.. quindi in nessun caso potevano essere l’obiettivo dell’attacco.

In ciò che scriviamo non né nostro obiettivo abbellire la situazione, né osservare la logica dell’equa distanza. Per questo, oltre il limite dei target definiti, non dimentichiamo gli attacchi autistici a luoghi senza senso (fermate degli autobus, telefoni pubblici, chioschi, automobili utilitarie), che siamo in una posizione di riconoscere essere un esempio di irresponsabilità che non fa mai una vera differenza nella sostanza delle cose. Al contrario, l’edificio della Marfin (nella piazza Korai) come edificio bancario, costituiva un obiettivo perfetto.

Non ci è dato sapere esattamente cosa sia accaduto là, e ciò che è stato detto, ma conosciamo la cronica debolezza che crediamo contribuisca al risultato. Ci riferiamo al feticismo della violenza disorganizzata, e la mancanza di comprensione del senso degli attacchi.

La pistola scarica uccide…

L’incidente accaduto alla Marfin, questa è la dura verità, è de tutto casuale non sia avvenuto mai in tutti questi anni prima d’ora. Ogni ribelle dovrebbe formare una particolare relazione di comprensione e percezione del senso dell’azione che compie. Tutti i sensi delle azioni, dal lancio di una pietra all’uso del kalashnikov, possono facilmente ritorsi come un boomerang contro di noi. Per questo si dice che le pistole “scariche” uccidono molto più facilmente delle “cariche”. Armi “scariche” anche nel senso che chi le ha non ha la consapevolezza del loro uso e neppure della loro efficacia.

Quindi qualcuno ha “scoperto l’America” con gli eventi della Marfin. Comunque per molti molti anni lo scenario è stato simile. Quante volte nel passato in cortei o in attacchi (notturni), i compagni si sono bruciati o feriti da soli con le molotov, perché le bottiglie erano mal costruite, o perché qualcuno ha avuto fretta di “colpire” prima? Quante volte ci sono state teste rotte di compagni per le pietre che alcuni “impazienti” hanno tirato da dietro, senza neanche che vedessero l’obiettivo? Similarmente, per coloro che non hanno la memoria corta, quante volte gli anarchici hanno litigato tra loro in corteo per divergenze di attitudini e concezioni?

Gli esempi sono innumerevoli. E tutte implicano le stesse debolezze. La scissione tra teoria e pratica, tra coscienza e azione. La violenza rivoluzionaria è cominciata ad apparire come un feticcio, spesso replicando modi di comportamenti appartenenti alla gamma del dominio, dell’arroganza, dei ruoli e delle “qualifiche”. Questa contraddittorietà dei comportamenti all’interno dello spazio radicale, funziona come assioma evidente della creazione di egemonie informali.

Allo stesso tempo, vicino a questi comportamenti, ci sono nuovi giovani compagni che subiscono la suggestione di atteggiamenti di parte e a loro volta, ma anche per responsabilità individuale, li replicano in brutta copia. La violenza, il significato attribuitole, il loro uso di essa, le loro produzioni, precauzioni, sperimentazioni, tecniche, finora non erano da mettere in tavola per pratiche collettive di eliminazione del feticismo e inserimento de conoscenza e proprietà effettiva. Era la prerogativa dei membri più “interni”, i quali stavano “proteggendo” i loro “ranghi”. La violenza diventa percepibile come un gioco di adrenalina, di competizione informale nel numero degli attacchi.

Invece noi crediamo che sia la coscienza ciò che ci motivi a sviluppare i nostri piani ed esperienza di lotta e di attacco al rivale.

“Durante l’addestramento, tutta la preparazione militare era subordinata alla politica: quando si maneggiavano delle sostanze chimiche delicate, ci hanno suggerito di pensare sempre all’ideologia, e quindi saremo stati in grado di fare tutto e di rendere le cose migliori” (Ampimael Guzman- organizzazione rivoluzionaria Sendero Luminoso).

Accanto al feticcio della violenza, i fiori della conoscenza imperfetta. Alcuni compagni ignorano l’efficacia dei significati di violenza e il pericolo di questi significati, e ne fanno un uso eccessivo, come sceneggiate di ore di battaglia dall’interno del rifugio dell’università, o anche attacchi disorganizzati alla polizia antisommossa a Exarchia, dove ciò che le dozzine di molotov riescono di solito a finalizzare, è di “annerire” l’asfalto, mentre, le stesse persone, se avessero discusso e si fossero organizzate, avrebbero potuto distruggere gli sbirri e incendiare la camionetta.

Un pezzo di questa tradizione e adorazione e contemporaneamente l’ignoranza dell’uso dei significati è anche costituito dal criticismo degli statici “esperti” della violenza. Una trama di atteggiamenti di critica distanza dalla sicura posizione di non partecipanti alla pratica rivoluzionaria, ma coperta dalla scusante dell’esperienza dei “più vecchi” “quando le cose non stavano così, ma erano migliori”. Ragioni sospese che ostentano esperienze armate e violente, stabilendo ogni volta l’uso corretto della violenza e il messaggio del movimento di guerriglia, per svalutare qualunque pensiero e pratica innovativi. Sindromi da pensiero codardo e timido, che ammira e si compiace di ciò che è lontano, all’interno della sfera sicura della storicità, e dimostra un’arroganza di carta verso ciò che sta tentando di avvenire qui e ora.

In tutta questa confusione di coscienza, ci sono le persone che hanno incendiato la Marfin, sia che non abbiano visto la gente che c’era dentro (senza curarsi del fatto che non sarebbe stata la prima volta, come esempio , nell’attacco notturno organizzato alla banca nazionale su Panepistimiou street quattro anni fa, 2-3 persone sono rimaste intrappolate sul tetto) o, peggio, che l’abbiano vista ma che non abbiano creduto potesse morire per un po’ di molotov. Siamo convinti, senza conoscere le persone, che se gli fosse stata data una pistola, non avrebbero certo sparato agli impiegati. Quindi non volevano ucciderli, e non ha nessuna importanza che siano state sentite delle voci ciniche e stupide dire “lasciateli morire, sono impiegati di banca”.

Se qualcosa ha portato agli eventi del 5 maggio, è l’ascesso di una tradizione dominante che ha bruciato sotterranea per decenni nel movimento radicale, e della quale ora, prima di tutto, ciascuno deve rispondere per se stesso facendo autocritica. La maggior parte delle cose scritte qui, sono per mettere insieme la nostra personale comprensione esperienziale e le nostre proprie imperfezioni senza mettere in piedi sofismi da qualche “esternalità”.

Quindi, detto questo, questa è la scintilla adatta per rifornire ulteriormente i nostri pensieri e le nostre azioni, in vista della pubblicazione futura di un manifesto sulle posizioni e sui valori della corrente nichilista, dell’anarchismo individualista e del terrorismo rivoluzionario che noi esprimiamo.

Allo stesso tempo, la recente proclamazione di un “gruppo di compagni che ha contribuito alle azioni catastrofiche nel centro della città durante il corso del 5 maggio”, dimostra che ogni esperienza che voglia essere rivoluzionaria, dovrebbe porsi come priorità la creazione di momenti e spazi per discussioni e revisione. I compagni, attraverso i loro testi, senza riguardo degli accordi o dei disaccordi, hanno lavorato direttamente al processo di rinascita essenziale della dialettica rivoluzionaria.

Poiché la scommessa della rivoluzione non è essere giocata né in termini di superiorità militare, né con gli aforismi religiosi di un messaggio politico vacuo. La nuova guerriglia urbana, è un processo che “colpisce” prima di tutto al centro delle relazioni umane. Da qui tutto comincia….

COSPIRAZIONE DELLE CELLULE DI FUOCO
GRUPPO DI GUERRIGLIA TERRORISTA
FRAZIONE NICHILISTA