Titolo: Pure i “Gialli” sono diventati amici nostri?
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Nel pieno del movimento dei “Gilet gialli”, queste ultime due settimane hanno visto accadere degli scontri a Parigi e non solo, come pure diversi atti di sabotaggio. Da allora, un certo numero di anarchici si sono posti la domanda se intervenire o meno in questo movimento, allo stesso modo in cui intervengono da sempre in diversi movimenti sociali. Tuttavia, anche se solitamente questo tipo d’intervento sembra ovvio, ci sembra degno di nota il fatto che questo non sia completamente il caso e che ci sia dibattito a proposito. Come un segno che qualcosa qui stona.

I “Gilet gialli” sono iniziati come un movimento più o meno [https://it.wikipedia.org/wiki/Poujadismo][poujadista]], basato sull’abrogazione dell’aumento delle tasse, sulla riduzione degli “oneri” dei datori di lavoro, ecc. Da allora, la lista delle rivendicazioni si è allungata, e bisogna riconoscere che queste corrispondono prevalentemente al populismo (una delle richieste è “che la persona a cui viene rifiutato il diritto d’asilo deve essere ricondotta al proprio paese d’origine”). Per un movimento che si dice apolitico, una buona parte delle sue rivendicazioni sono piuttosto di destra.

Il movimento è, nelle proprie basi, intrinsecamente reazionario e non è un caso se durante i vari blocchi, e in maniera ancora più manifesta durante gli scontri, si può sentire la Marsigliese, vedere delle bandiere nazionaliste, gaulliste, monarchiche e altri berretti frigi. Nello stesso modo, il colore politico di certi “famosi” sostenitori della prima ora (Le Pen, Dupont-Aignan, Wauquiez, Dieudonné, ecc.) non ci pare affatto insignificante. Se qualcuno può essere tentato di voltarsi verso i movimenti rivoluzionari e insurrezionali del passato per azzardare dei paragoni con ciò che succede oggi, non bisogna dimenticare che nel frattempo il mondo è molto cambiato. Si tratta quindi di un popolo imbottito di idee disgustose e di “fake news” che oggi è sceso in piazza. Tutto questo crea un clima dove, tra le altre cose, il nazionalismo, il razzismo, l’(eterocis)sessismo e il cospirazionismo non sono mai troppo lontani. Queste forme di dominio possono essere presenti anche nei movimenti sociali (come pure nei nostri ambienti), ma qui sono molto più presenti, ed accettate.

Perciò, nel contesto della domanda che ci si pone a proposito dell’intervento anarchico in questo movimento, noi ci chiediamo già (dato che certi hanno iniziato a intervenirvi) perché uno dovrebbe accettare il marchio “Gilet giallo”. Perché accettarne e approvarne le rivendicazioni “di base” (contro l’aumento delle tasse ecc.), e, soprattutto, perché sostenere il simbolismo?

Se degli anarchici indossano il gilet giallo durante le sommosse, noi ci chiediamo se lo fanno in uno spirito di manipolazione, per confondersi nella massa e far credere che si sono integrati al resto dei “Gilet gialli”?

L’unità materializzata dal fatto che tutti portano questo gilet ci mette a disagio: ancora una volta, come una riproduzione incessante del mondo che detestiamo, le individualità si trovano spazzate via. La specificità e l’unicità di ogni individuo vengono cancellate per un’uniforme che vorrebbe far credere che le aspirazioni di tutti si equivalgono. Questa uniformazione non ha, inoltre, che un valore simbolico e non pratico, come può essere visto nella “cultura” anarchica della rivolta, in cui serve per l’anonimizzazione per evitare la repressione.

Il simbolismo del “gilet giallo” non è insignificante, esso si riferisce all’obbligo risalente ad alcuni anni fa di avere nel proprio veicolo un gilet giallo ed il triangolo di emergenza, cosa che aveva già provocato il malcontento del conducente medio. All’epoca, questo non era più interessato alle lotte sociali di quanto lo è oggi. Le sue rivendicazioni non erano altro che immediate, senza un pensiero sociale dietro, senza il desiderio di un altro mondo, senza l’odio verso l’odierno. Lo stesso vale anche per oggi, con la piccola fissazione del potere d’acquisto. Ciò che i “Gilet gialli” vogliono non è una rottura ma, al contrario, poter continuare a perpetuare questo mondo, poter continuare a partecipare. E perché dovremmo trovare ciò interessante?

Per molte persone che partecipano a questo movimento, si tratta delle loro prima “mobilitazione”. Dov’erano questi nel 2006, nel 2010, nel 2016, per menzionare solo i movimenti sociali più ampi di questi ultimi anni [rispettivamente contro la legge CPE per l’impiego dei giovani, la riforma delle pensioni e la Legge lavoro; NdT]? Non si tratta di dire che visto che non hanno partecipato a qui movimenti sociali (o li hanno persino disprezzato), allora non si dovrebbe neanche partecipare al loro movimento, ma piuttosto di rendersi conto che le nostre prospettive differiscono da quello a cui loro sembrano aspirare. Allo stesso modo in cui le prospettive avanzate nella “Giornata della collera”[1] ci hanno impedito di parteciparvi, non vediamo il motivo per cui le prospettive di questo movimento ci dovrebbero spingere ad agire. E se questo movimento si fosse basato su questioni più sociali, questi individui (gli odierni “Gilet gialli”) avrebbero preso l’iniziativa di unirsi ad un tale movimento? Possiamo dubitare, senza esserne certi, visto il divario tra le loro rivendicazioni e quelle di un movimento sociale. Qualcuno potrebbe risponderci che in questo movimento non ci sono solo individui di destra. Ovviamente non è questo il caso, ma dobbiamo almeno constatare che le idee un minimo di sinistra non sono in maggioranza. Questo crea un clima estremamente confuso, propizio alla diffusione di idee dell’estrema destra.

Pertanto, è difficile comprendere come questo marasma potrebbe condurre a qualcos’altro se non ad uno Stato (e anche ad uno stato) più coercitivo, escludente e in cui le identità (nazionali, ma non solo) si ritroverebbero rafforzate.

Uno dei principi anarchici è che i mezzi devono corrispondere ai fini. Ci appare problematico quando gli anarchici fanno le rivolte assieme ai reazionari (che si rendano visibili facendo parte di movimenti dell’estrema destra, o che siano semplicemente delle “persone comuni”), e che la questione venga elusa. E se uno considera che tutto è meglio che l’esistente, perché allora non sostenere delle iniziative come le ITS[2] o l’ETA[3]?

Per certi anarchici intervenuti in questo movimento si ha l’impressione di assistere all’eterno rincorrere del soggetto rivoluzionario o insurrezionale, sia esso chiamato proletariato, abitante di quartieri popolari, “razzializzato”, piuttosto che “popolo”.

Una questione che sorge è “dove può portare questo?”. È poco probabile che porterà ad una rivoluzione o insurrezione le cui basi ci sarebbero consone. Dunque, non restano molti esiti possibili: o un nuovo governo riesce a prendere il Potere, e possiamo ben scommettere che questo non avrebbe, come minimo, nulla da invidiare a quello precedente, o si arriva ad una soddisfazione totale o parziale delle rivendicazioni. Considerato il loro contenuto, gli anarchici che desiderano intervenire vogliono davvero essere quelli che, con le proprie azioni, favoriscono potenzialmente “che le persone alle quali viene rifiutato il diritto d’asilo vengano ricondotte ai propri paesi d’origine”?

E in questo contesto di tensione e di azione il nostro discorso, ultra-minoritario, può essere sentito e compreso? Un momento di conflitto è un momento in cui possiamo veramente avere un influenza sul pensiero globale? Inoltre, la maggior parte di persone che partecipa a questo movimento non frequenta i nostri canali di comunicazione e parte da una cultura politica/filosofica o pari a quasi zero, oppure all’esatto opposto della nostra.

Certe persone affermano che abbiamo un nemico in comune, e questo giustificherebbe l’unità. È veramente il caso? Il nostro nemico non è solo Macron, proprio come non erano solo Hollande e Sarkozy, e non è neanche solo Rothschild o qualunque dirigente di multinazionale. Tra i nostri nemici c’è lo Stato, il capitalismo e tutte le forme di regimi politici. Al contempo, convergere verso i centri di Potere in un periodo quando questo è molto più diffuso di come poteva esserlo in precedenza, ci sembra aver poco senso. Le prefetture e l’Élysée hanno una valenza simbolica, e concentrarsi unicamente su questi punti vuol dire, da una parte, non vedere le capacità di adattamento del Potere (che non ha bisogno di edifici particolari per continuare a prendere le decisioni). D’altra parte, si tratta di avere un’analisi molto superficiale di cosa sia il Potere e d’ignorare il fatto che esso non si riduce a qualche istituzione. Anche solo andare a lavorare, accettare di sottomettersi ad un capo, vuol dire obbedire ad un Potere, e il movimento dei “Gilet gialli” questo non lo mette affatto in discussione. La loro critica è rivolta principalmente e soltanto alle tasse, senza un briciolo di critica contro i padroni, il lavoro o perlomeno il numero di ore di lavoro rispetto alla retribuzione.

Come si può giustificare, sempre in uno spirito di coerenza, la lotta a fianco di persone che sono di solito bersaglio delle nostre critiche, siano esse neofascisti, piccoli imprenditori o anche la persona che mette a confronto la propria situazione di buon lavoratore che non riesce ad arrivare alla fine del mese, con questi “mantenuti dai sussidi ai quali tutto è pagato”, e che critica aspramente gli immigrati e un governo che sarebbe troppo indulgente.

Si impone inoltre un paragone tra l’intervento anarchico nel movimento corrente e lo stesso intervento, ma molto più consueto, nei movimenti sociali. Potremmo essere tacciati d’ipocrisia accettando il secondo e rifiutando il primo, dato che dovremo essere contrari sia alla sinistra che alla destra. Mettiamo in chiaro le cose: vogliamo una situazione caotica. Ma in una situazione di caos c’è sempre una parte di popolazione che vuole tornare alla tranquillità. Nel primo caso, l’estrema destra è quella che maggiormente desidera un ritorno alla calma. Oggi, l’estrema destra (o almeno una parte di essa) vuole estendere il caos. Ma essa vuole il caos solo per essere quella che finirà per riportare l’ordine. E se questo dovesse accadere, noi ci ritroveremo estremamente isolati per poter combattere contro questa estrema destra che avrà acquisito forza.

Ad ogni modo, gli anarchici vogliono il caos in una prospettiva di negazione del Potere, che qui non è il caso per la maggior parte di altri elementi del movimento, che vogliono la perpetuazione del Potere.

E non nascondiamoci dietro a un dito: quanti anarchici hanno inizialmente avuto delle aspirazioni di sinistra, prima di avere delle vere prospettive anarchiche? E anche tra gli anarchici attuali, quanti dichiarano di essere legati alla sinistra? Se non abbiamo nessun problema ad affermare che l’anarchismo come lo intendiamo sta al di là della destra e della sinistra (e non “al di là della spaccatura destra-sinistra”, che è spesso solo una foglia di fico neofascista), perciò al di là della politica, esso rimane, storicamente e nei percorsi individuali, più vicino alla sinistra che alla destra.

È molto bello estasiarsi davanti agli atti di sabotaggio che possono essere visti in questo momento. Per noi, l’atto e il pensiero devono corrispondere, e una banca presa a sassate da un movimento che pensa che tutti i banchieri sono “ebrei” o “sionisti” non ha la stessa risonanza nei nostri occhi se la stessa banca è presa a sassate a causa dell’odio verso un mondo basato sul danaro. Possiamo osservare il problema da un’altra angolazione: fra le persone che oggi applaudono l’incendio di un edificio dell’URSSAF [ente statale che raccoglie le tasse destinate ai contributi sociali; NdT], quante applaudono pure gli atti di sabotaggio perpetrati gli altri giorni?

Se questo movimento è effettivamente marcio, possiamo comunque sicuramente trarne degli insegnamenti sui nostri modi di agire. Abbiamo visto durante le rivolte precedenti azioni sparse e diffuse, dunque più incontrollabili. Invece le “nostre” rivolte hanno la tendenza di essere dei blocchi compatti che si muovono da un punto A verso un punto B, in un tragitto cosparso di atti di sabotaggio. Questa strategia sembra oggi essere esausta e ben conosciuta dai servizi di repressione. Questo movimento può anche essere interessante dato che è stato costruito all’infuori dalle organizzazioni sindacali (anche se i motivi di questo rifiuto non hanno nulla a che vedere con i nostri), e che pare ancora oggi rifiutare qualsiasi rappresentanza (anche qui ci sono da fare delle differenze essendo emersi dei portavoce).

Tuttavia, se ciò può essere disfattista, forse è meglio non illudersi su qualche risultato “felice”, piuttosto che investire tante energie in qualcosa che non corrisponde ai nostri interessi. Questi ultimi non si trovano nelle richieste per una vita meno cara, quello che noi vogliamo (e noi non potremmo chiederlo ad alcun capo) è una vita che non sia a pagamento. Noi non vogliamo far parte di un mondo in cui si deve lavorare per poter vivere, per poter essere qualcuno. I nostri interessi non si trovano nemmeno in una qualche dimissione (o “destituzione” come piace dire ai neo-blanquisti), ma nella distruzione del Potere. Questo nemmeno non lo si supplica, non lo si rivendica. Eravamo nemici di governi precedenti e continueremo ad esserlo anche dei prossimi, di qualunque colore saranno.

Da un lato pensiamo che attendere le condizioni obiettive e soggettive per una rivoluzione o insurrezione sia illusorio, soprattutto in un contesto dove la Reazione sembra ritornare a grandi passi. Dall’altro lato, rifiutare di attendere queste condizioni e agire assieme a persone che hanno a cuore idee reazionarie, ci crea problemi. Noi rifiutiamo questo falso dilemma. Non vogliamo attendere il momento opportuno per agire, ma troviamo pure assurdo di trovarci là dove si trovano i reazionari.

Gli anarchici non hanno bisogno di questo movimento per agire, l’odio contro questo mondo può essere materializzato in ogni momento. Oggi, tra dieci giorni, tra due anni, sempre.

Degli individui, non dei vestiti.


(tradotto da anarhija.info & guerresociale)


[1] Giornata di manifestazione politicamente confusa, che si svolse il 26 genniao 2014 a Parigi. L’articolo di Wikipedia [in francese, ndt] dice qualcosa di interessante: “Nella sua recensione della manifestazione, Le Monde, in collaborazione con l’Agence France-Presse, osserva che “il corteo è molto eterogeneo: cattolici, lavoratori transfrontalieri in Svizzera e manifestanti contro “equitax”, assieme a bandiere de La Manif per tutti e slogan anti-imposte, ma anche, più marginali, ultra-nazionalisti o ammiratori del comico Dieudonné [...] Qualche atto anti-semita e slogan omofobi sono stati sentiti, e qualche scontro ha avuto luogo lungo il tragitto della manifestazione”.

[2] Individualità Tendenti al Selvaggio: tendenza misantropa di illuminati che praticano l’attacco indiscriminato guidati da un pensiero anti-civilizzatore reazionario, che gli anarchici hanno fortemente criticato negli ultimi mesi. Sono presenti principalmente in America centrale e meridionale.

[3] Euskadi Ta Askatasuna, organizzazione armata indipendentista basca.