Titolo: Peaugres (Ardèche) [Francia]: Gabbie che chiamiamo libertà (02/08/2018)
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Un pensiero per tutte le persone, rinchiuse in gabbia o meno, che vorrebbero vedere queste ultime distrutte, sapendo che non si tratta solo di gabbie materiali.

Nei nostri pensieri ci sono anche tutti gli esseri viventi, a motivare la nostra voglia di distruzione e di vita. La settimana scorsa abbiamo attaccato lo zoo-safari di Peaugres, incendiando le quattro casse, delle piccole cabine prefabbricate ricoperte di pannelli in legno. Abbiamo piazzato su ognuna di esse due dispositivi: il primo (un mezzo panetto di diavolina) sotto una delle finestre, sperando che il calore avrebbe fatto esplodere il vetro, permettendo così al fuoco di spandersi all’interno; il secondo dispositivo (un litro e mezzo di miscela benzina-olio, con il resto della diavolina) ai piedi della finestra, sotto i pannelli di legno. Era nostra intenzione moltiplicare i punti di accensione del fuoco, in modo che si propagasse in maniera più efficace. Abbiamo anche verificato che l’incendio non avrebbe potuto propagarsi alla foresta vicina (una zona di terra e di asfalto li separa, e non c’era vento).

Tutte le cabine sembrano essere state distrutte, ma non abbiamo conferma per quanto riguarda l’efficacia dei dispositivi posizionati sotto le finestre.

Qua sotto, alcune delle ragioni che hanno motivato questo attacco e delle riflessioni che abbiamo avuto durante la preparazione.

Gli zoo sono delle prigioni presentate come luoghi di divertimento, di scoperta, di educazione e perfino di sensibilizzazione e di conservazione di una fauna supposta selvaggia. Invece, spesso essa è nata in cattività e quando è stata scoperta dai coloni occidentali è stata decimata e messa in gabbia per essere portata qui, esibita, utilizzata come regalo e oggetto di divertimento, come proprietà di circhi o zoo.

Questi luoghi e la propaganda che li circonda sono l’incarnazione della mentalità specista che distrugge il mondo di cui essi dovrebbero essere un esempio in miniatura. Cioè la superiorità che instaurano gli esseri umani sul resto del vivente e in virtù della quale questi si danno la possibilità di disporre degli esseri non-umani e di rinchiuderli per il proprio piacere, che esso sia culinario, affettivo, culturale oppure scientifico.

Gli zoo ci ricordano inoltre che i coloni non si sono limitati a massacrare ed esiliare degli animali non-umani, ma che gli stessi argomenti ed ambizioni – divertire ed educare attraverso l’esposizione – hanno portato allo sviluppo ed alla popolarizzazione degli “zoo umani”, durante tutto il sanguinoso processo della colonizzazione. Una dimostrazione ostensibile di razzismo che è sempre presente, fra l’altro nelle mentalità e nelle strutture che denigrano e/o esotizzano una categoria di persone.

E sono questi luoghi (nella loro forma chiamata “safari”), fondamentalmente basati sul dominio specista, che vorrebbero apparire come posti in cui “sensibilizzare all’ambiente” oppure “scoprire la natura”, dove gli animali sarebbero “allo stato selvaggio” e “in libertà”. Ma, senza pretendere ad una definizione esaustiva, gli animali “allo stato selvaggio” non sono rinchiusi in parchi che non possono che essere troppo piccoli, attraversati tutto il giorno dalle macchine, nutriti/e e accuditi/e da esseri umani che li privano di ogni capacità di essere autonomi e di muoversi. I muri e le griglie elettrificate che circondano questi parchi non sono il loro “ambiente naturale”. Questi potrebbero essere, per esempio, le zone che vengono attualmente devastate dalle compagnie petrolifere che forniscono la benzina utilizzata dai clienti dei safari per vedere questi animali (e, certo, quella dei nostri dispositivi incendiari).

Non viene lasciata nessuna libertà a questi animali non-umani, esattamente come essa non esiste per gli individui, in una società in cui vorrebbero farci credere che non ci sono altre barriere che quelle, visibili, di prigioni e frontiere. Una parola più appropriata esiste per definire la loro situazione materiale: la cattività.

Questa bugia, lo stato “naturale, libero e selvaggio”, in più di essere una argomento di marketing, si ritrova nella pedagogia, che insegna al suo pubblico che la “natura” e la fauna che la compone si limitano a spazi chiusi e ricostruiti dagli umani. Quello che viene sottinteso è che è normale vedere orsi e giraffe in Francia, normale che degli animali siano in gabbia, normale che altre specie siano asservite all’essere umano, al quale spetta “proteggerle”.

Gli zoo non sono altro che delle prigioni, delle imprese economiche che giustificano ipocritamente l’imprigionamento con la scusa della protezione di specie decimate, mentre essi partecipano a normalizzare, banalizzare ed esaltare il dominio della specie umana su quello che la circonda.

Questa idea secondo la quale esistono esseri “da proteggere” serve, più in generale, come pretesto per la creazione di diversi tipi d’imprigionamento. La ritroviamo nel discorso dello Stato che, con la scusa di proteggere, sorveglia e controlla gli individui di cui pretende garantire la sicurezza, attraverso la creazione di dispositivi sicuritari (dalle leggi alle telecamere, passando per la schedatura e l’incoraggiamento alla delazione). Essa è sottostante e partecipe anche al mantenimento di altre forme del dominio strutturale, come per esempio il patriarcato e il razzismo. Lo Stato, la figura paterna o qualche altro attore cercano di imporre una posizione di potere, assicurandosi di ancorare la paura negli individui, togliendo loro ogni mezzo per essere autonomi nell’organizzazione della propria difesa; crea in questo modo non solo una dipendenza nei confronti di un’istanza protettrice, ma anche la sensazione di debolezza e di impotenza che auto-alimenta questa logica. Per illustrare rapidamente quanto appena detto, si prenda per esempio il fatto di dire ad una persona categorizzata “donna” che essa è allo stesso tempo in pericolo, debole ed inadatta all’utilizzo della violenza fisica o verbale.

Si tratta del principio della prigione dorata, in cui certo gli esseri rinchiusi non sono liberi, ma almeno sono “in sicurezza”. E per le persone che rifiutano di sottomettersi a questa logica protettore/protetto, e/o sono giudicate pericolose per gli altri, per esse stesse o per la pace sociale, sono previste delle prigioni molto meno dorate.

Per la distruzione di tutte le prigioni, qualunque sia la forma delle loro sbarre.


(tradotto da guerresociale)