Titolo: Carcere di Korydallos – Atene [Grecia]: Testo dell’anarchico Nikos Romanos sul caso dei “terroristi individuali” (27/03/2018)
Autore: Nikos Romanos
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Ieri si sono conclusi i nostri casi penali con la decisione dello Stato di condannarci ad anni di carcere come “terroristi individuali” con elementi e accuse che rappresenterebbero un caso di routine in un processo formale di ordinario diritto penale.

La sentenza di ieri rappresenta il punto cruciale per i processi politici e per le nuove correlazioni modellate sulla mappa di repressione penale contro il movimento anarchico.

Hanno rivendicato l’arma legale dello Stato, lo strumento del “terrorismo individuale”, che non è altro che la criminalizzazione dell’identità politica anarchica, prova sufficiente per condannare i combattenti in base alla legge antiterrorismo (187A). Così, se un compagno è stato irrevocabilmente prosciolto dall’accusa di partecipazione in un’organizzazione, come noi, la sua identità politica può rappresentare il mezzo per essere condannato sotto la 187A, come è stato detto molte volte dal p.m. Apostolaki – “sono anarchici, perciò i loro atti sono terroristi”, “non hanno cambiato le loro posizioni, quindi le loro azioni posso essere caratterizzate in modo differente”. Nello stesso tempo, è stato creato un nuovo campo aggiornato per espandere la 187A, dove un’azione anarchica che va oltre i limiti della legittimità civica sarà descritta come “terrorismo individuale”, aumentando la lunghezza delle condanne e il tempo trascorso in carcere.

Caratteristico è il mio stesso caso, mentre per l’espropriazione a Velvento, Kozani, sono stato condannato a 11 anni di carcere senza l’utilizzo della 187A, per alcune cartucce e tre incendi sono stato condannato a 18 anni di carcere, è chiaro anche per un principiante di giurisprudenza che questi atti hanno meno peso penale dell’espropriazione di una banca. Quindi, in base al motivo per cui sono entrato in carcere sarei stato rilasciato in giro di qualche tempo, e invece sono tenuto qui con decine di anni di carcere sulle mie spalle in base all’innovazione repressiva del terrorismo individuale, che per la prima volta viene applicato contro i prigionieri anarchici.

Naturalmente, questo fatto non è una scoperta neutrale, e non è neanche una presentazione vittimista della realtà, ma è la prova migliore che gli anarchici rappresentano una minaccia reale per il sistema, anche nei periodi di rovescio per il movimento anarchico. Perché, in realtà, le condanne di ieri non sono state altro che la condanna dell’identità anarchica. La condanna della difesa politica delle nostre azioni e delle nostre scelte in aule borghesi, la condanna del fatto che non ci pieghiamo per baciare la croce del pentimento, o non ci inginocchiamo di fronte ai nostri oppressori, come succede ogni giorno nelle sale della Corte d’Appello e [tribunali] di Evelpidos, ma invece rimaniamo a testa alta contro di loro.

In realtà, ciò che la sentenza di ieri voleva imporre era un messaggio risonante di terrore di stato a tutti quelli che sono impegnati in lotte sovversive in linea con il movimento anarchico. Un tentativo di rilasciare il veleno della paura tra le iniziative radicali, di gettare dubbi sull’efficienza delle lotte, di prevenire nuovi compagni che accendano e diffondano le fiamme di solidarietà nelle metropoli, di separare i mezzi della lotta anarchica tra consentiti e non-consentiti in base alla repressione penale e l’estensione della 187A, che non è altro che un coltello affilato nella mani della polizia e del complesso giudiziario, per diventare trofei imprigionati nello zoo delle colonie correzionali, che saranno là per ricordarti cosa potresti subire per ogni tentativo di attacco al sistema. Inoltre, non è un caso che fino al momento della condanna i media hanno tenuto un silenzio totale sul caso, e appena la decisione è stata portata è diventato materiale per notiziari e un monito permanente che lo Stato si sta vendicando di suoi avversari politici.

Ed è effettivamente un dato di fatto che lo Stato e i suoi meccanismi di detenzione riservano l’atteggiamento più vendicativo a quelli che mettono in questione la sua onnipotenza. Ed è anche un fatto che parlando il linguaggio delle verità, il nostro cuore fa male. Fa male per gli anni della nostra una e unica vita giovanile buttata nella spazzatura delle carceri, fa male per i nostri famigliari che stanno vivendo una spietata guerra psicologica, trasformati in danno collaterale in una guerra che non hanno scelto, fa male per i nostri amici e compagni che crescono assieme in carcere, fa male per le persone che lasciano i tribunali con passi cupi, fa male per quelli che piangono sentendo la rabbia che li soffoca. Ma è anche una realtà dove questo dolore non potrebbe mai essere paragonato al dolore di una vita asfissiata da apatia, indifferenza e tornaconti personali.

Questo dolore che lo Stato e il capitalismo generosamente distribuiscono in prigioni, ospedali psichiatrici, campi di concentramento e per i rifugiati, sulle frontiere di terra e mare, sui posti di lavoro dell’Occidente civilizzato e quelli creati da monopoli multinazionali nei paesi del Terzo Mondo per espandere la loro base produttiva spremendo corpi infantili, non può essere superato girando il nostro sguardo altrove, chiudendo i nostri occhi, con una protesta innocua inserita nella cornice per noi definita dal sistema.

Il dolore sentito da una persona dedita alla lotta per la causa della libertà è quello che nutre i cuori della disobbedienza e dell’insurrezione contro lo Stato e i suoi servi. Sono queste le persone che producono teorie radicali, che diventano complici in formazioni storiche di eventi sovversivi, è la tensione nello stomaco quando si ritrovano con un libro in mano studiando teorie di esperienze storiche passate di compagni che con le proprie azioni hanno contribuito alla nostra causa comune aggiungendo la loro pietra allo sviluppo della storia rivoluzionaria.

Sul lato opposto, il dolore di una vita affogata in compromessi e apatia è un dolore che è esistenziale, è il dolore di una nuova vita che deve imparare a obbedire agli ordini, ad essere disciplinata di fronte al potente, ad essere indifferente all’oppressione e allo sfruttamento del prossimo finché non viene sentito sulla propria pelle, è il dolore di danni psicologici, dell’omogenizzazione dietro gli standard sociali prodotti, della individualizzazione diffusa, è il dolore del vuoto esistenziale che nell’epoca di prosperità capitalista era colmato da noleggio macchine, da nuovi arredi per la casa, intrattenimento da quattro soldi, e che adesso rimane intrappolato nelle code di OAED [servizio disoccupati], nei pasti offerti dalla Chiesa, nella scelta di tollerare questa condizione, invece di organizzare la resistenza per rovesciarla.

Quindi, per tutte le volte che potremmo tornare indietro nel tempo, i nostri cuori sceglierebbero di camminare in mezzo alla selvaggia e speciale bellezza della lotta anarchica, per i sentieri del conflitto con il potere in tutte le sue forme, in tutti quei momenti quando la classe omicida di un mondo civilizzato viene disturbata dagli schiavi insorti, da quelli che si rifiutano di essere schiavi, dai combattenti che portano la fiaccola della libertà dentro di loro.

Quelli che sono anarchici sono fieri, e tutte quelle persone spregevoli e meschine come Ganiatsos, Apostolakis, Mouzakis [magistrati] e i loro simili che delirano sulla nostra distruzione, possono inventare nuove terminologie legali, costruire accuse, stracciare lo stesso codice penale nella loro collera contro quelli di fronte a loro.

Il movimento anarchico ha versato il proprio sangue e ha dimostrato nella sua lunga storia che cercherà con perseveranza e persistenza i modi con cui rispondere a coloro che costantemente organizzano la sua distruzione. La responsabilità del golpe giudiziario appartiene a molti, a ciascuno con la propria parte assegnata individualmente. Dalle responsabilità politiche del governo di SYRIZA, che si relaziona alle leggi anti-terrore e alla sua sensitività selettiva verso i casi in base agli interessi politici, nelle bocche sigillate di tutti quelli “del movimento” o “dei diritti” in cerca delle questioni che apriranno per cambiare l’attuale programma politico, fino ai nomi di quelli coinvolti nel particolare colpo di Stato e sino all’unità antiterrorismo e agli investigatori che hanno modellato le accuse e costruito le imputazioni con l’obiettivo del nostro sterminio giuridico.

Lo snodo del potere che indipendentemente dai suoi conflitti trova un comune campo d’azione quando si tratta di affrontare il nemico “interno” e combatterlo con ogni mezzo disponibile.

Se qualcosa è certo è che questo particolare golpe giudiziario non cadrà nell’oblio, ma sarà un trampolino per la lotta contro le polizie antiterrorismo, gli attuali processi-terrore e il regime d’eccezione contro i prigionieri politici. I nomi di Ganiatsos, Mouzakis, Apostolakis e di tutti gli altri saranno scolpiti nella memoria di tutti coloro che combattono tenaci per l’anarchia e libertà, e il piede del movimento si assicurerà di dare un calcio allo sgabello di quelli che lo occupano, rovesciandoli dal piedistallo dell’arroganza e vendetta per nuovi discrediti e stigmatizzazioni. E allora il falso idolo del dio dipinto col sangue che queste persone venerano, li guarderà cadere.

Infine, possiamo tranquillamente dire che le condanne dello Stato e dei suoi servi incaricati non ci piegano e no ci terrorizzano, né noi né i compagni che lottano per la nostra causa comune. L’anarchia nei nostri cuori continuerà ad ardere finché non bruceranno anche gli ultimi resti di questo vecchio mondo che genera tutta questa bruttura tecnocratica che ricopre ogni centimetro di questo pianeta. Fino al bellissimo giorno quando i compagni liberi e detenuti porteranno il sorriso di soddisfazione per l’ultimo atto della nostra lotta impresso in ogni gesto, la lotta continua e continuerà contro gli architetti di piccoli e grandi colpi contro le nostre vite.

Forza e solidarietà a tutti quei compagni che ci sostengono ognuno a modo proprio.

L’anarchia vincerà...

Tutto continua!

Carcere di Korydallos – 27/3/2018
Nikos Romanos