Brancolare nel buio
«Io credo che quando non sia possibile fidarsi dell’amicizia di un essere, il meno che si possa fare è considerarsi suo nemico» – Renzo Novatore
Solitamente, quando un corpo si trova in putrefazione è del tutto inutile affannarsi a dargli ad ogni costo la guarigione. È spacciato, conviene farsene una ragione; riposi in pace, dunque. Non serve di certo possedere lauree in medicina per fare propria la consapevolezza che tenere in vita un organismo ormai morto significa, prima o poi, finire col cibarsene. Corrompendosi nell’anima, o nello spirito se si preferisce. Se è vero che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, così è indubbio che chi non stacca la spina al cadavere rischia di seguirlo ben presto nell’Aldilà.
Ma a subire il fascino di quella pratica nota come “accanimento terapeutico” paiono non essere solo i camici bianchi. Invero, è quanto da un po’ di tempo a questa parte continua a capitare a coloro che ancora si ostinano a tenere in vita un soggetto paradossale dal nome di Movimento, dalla sopravvivenza del quale pare discendere la loro salvezza. Senza di esso, sprofonderebbero nel più grigio smarrimento; come quello provato da chi, dopo una folata di vento che gli ruba il vestito, si ritrova nudo di colpo. Con tutta evidenza, quel corpo non doveva appartenergli poi così tanto.
L’Italia è con tutta probabilità il luogo d’Europa in cui lo Stato ha negli ultimi anni sfornato la maggiore quantità di inchieste giudiziarie dirette contro coloro che desiderano farla finita con l’autorità e le sue leggi. Così – e questo anche in Spagna, Grecia, Cile, Messico – la repressione piomba puntuale su chi non accetta di vivere servo ed esorta gli altri a coltivare questo folle sogno. Ma cosa ne è della reazione dei nemici di quest’ordine? Senza la paura di ingannarsi, si può dire che essa lasci alquanto a desiderare, e ciò è dimostrato dal fatto che il vento della solidarietà rivoluzionaria, sempre più simile ad un’arma spuntata, non fa paura al potere. Troppo poco incisivo il modo in cui reagiamo alla repressione, miserabile la sopravvivenza al sempre uguale che ci domina e che non facciamo nulla per minare.
Quello della solidarietà è uno tra i tanti momenti che rischiano di diventare un vuoto galà di pacche sulle spalle e sguardi contriti. Gli autoritari con gli anarchici, gli amici della politica con i suoi nemici – nemici sì ma neanche così tanto, dopotutto non si sa mai che si debba un giorno avere bisogno perfino della solidarietà dei primi.
Che confusione, non è così? Eppure…
A ben vedere, il miglior modo per evitare di trovarsi in situazioni di imbarazzo è quello di fare finta che tutto vada bene, lasciandosi alle spalle ogni problema, oppure rimandando la sua soluzione a data da destinarsi. Con buona pace di chi non intende aspettare per vivere oggi ciò che auspica per l’avvenire.
Dinnanzi alle esigenze dettate dalla contingenza tutte le differenze, anche le più profonde, finiscono per essere ricomposte e recuperate, come avviene talvolta ad una coppia di coniugi che non si sopportano in occasione del matrimonio del figlio.
In una serie tristemente infinita di situazioni, piuttosto che osare si preferisce gustare comodamente un minestrone insapore, prodotto di un’ostentata idea di unità, pretesa soluzione alla codardia cui sembriamo condannati. Ecco dunque il Movimento bello che riesumato, per la convenienza di chi vede la lotta contro il potere come nient’altro che una battaglia politica, di cui è bene non perdere di vista i fili che la dirigono, ricacciando al proprio posto gli eventuali provocatori. E così tutto ritorna nei ranghi, questa realtà totale alla quale siamo incatenati esulta, mentre la nostra sete di libertà soccombe a poco a poco.
È noto, creare miscellanee di sapori molto diversi tra loro, talvolta troppo, ci consegna mosaici tanto complessi quanto sfumati. Più il minestrone sarà fatto eterogeneo, tanto più annacquata risulterà la sua consistenza.
La paura di rimanere soli spesso ci spinge a rimandare il momento di farla finita per sempre con certe compagnie. Eppure è così per tutti i gruppi di amici, purché per amicizia si intenda un legame ben più profondo della mera appartenenza opportunistica a una cerchia. L’isolamento, che è una delle possibili conseguenze di sapersi scegliere bene gli amici, ad alcuni evoca un pensiero tremendo: che sia, in sostanza, come brancolare nel buio, una volta smarriti i propri punti di riferimento. È opportuno, quindi, fare attenzione, tenere a bada l’orgoglio, che da soli non si va da nessuna parte, ma se si è tanti invece… Per questo non è raro vedere questi instancabili mediatori buttarsi a capofitto nella melma della politica con l’obiettivo di tenere insieme; spasmodicamente, oltre ogni possibilità ed evidenza. Guai poi a fargli notare la loro somiglianza con i furfanti che siedono nei palazzi di governo.
– “Ma come, siamo anarchici, perbacco!” –
Ritrovarvi soli, è questo il timore che vi impedisce il sonno? Benché la tentazione di vedere nel singolo e nel gruppo due poli contrapposti non ci raggiunga, domandiamo: chi vive nella costante preoccupazione di riferirsi anzitutto agli altri piuttosto che a se stesso, ancor più se con questi altri non condivide un bel niente, non diviene forse per la propria individualità il primo carceriere?
Non è forse vero che dove l’individuo ha pieno possesso delle proprie facoltà, lì dimora l’anarchia? In che modo la paura di vedere ridursi la schiera di sodali può ancora condizionare chi ha compreso che la coscienza è una questione di esistenza individuale e non di classe? E se, con Galleani, chi parla di organizzazione non ha altro chiodo fisso che le masse che aspira a governare, che dire di coloro che dei sinistri proselitismi proprio non ne vogliono sapere, ma che al contempo desiderano che l’incendio divampi?
Si mettano l’animo in pace i vari politicanti della “rinsurrezione”. Per qualcuno pensare ed agire senza prestare il fianco all’opportunismo e al calcolo della politica non significa affatto brancolare nel buio. Al contrario, vuol dire vederci più chiaramente, respirare a pieni polmoni. E dove l’aria è più pura? Non è semplice rispondere, tanto è raro imbattersi in luoghi del genere. Tuttavia, una cosa è certa: per trovarne non è ammesso accontentarsi di quel che è rimasto. Del resto, per quanto affatto contrari alla pratica dionisiaca dell’orgia, esistono ammucchiate ed ammucchiate. L’orgasmo è una cosa seria, in quanto ha a che vedere col piacere, e proprio per questo non può in alcun modo dividere il letto con infami, delatori, autoritari e i loro amici.
Tempo fa, a proposito di nucleare e sabotaggio, si è sostenuto che si vede più chiaramente al buio. Siamo d’accordo. Il problema è che l’oscurità fa paura a molti, perché implica incertezza, rischio, in qualche caso solitudine. Troppo spesso siamo disposti ad affidarci maggiormente alla concretezza del reale che al desiderio di vivere, al pragmatismo che ai sogni. Il primo teme le tenebre: esso porta con sé il proposito di ridurre l’universale sotto la propria luce. La luce opprimente del cielo. Ma i sogni no, quelli, prediligono la notte.
Lontani dalla convinzione che sia un modello a dare forma alla realtà, rifiutiamo il proposito di elaborarne: che di questo si occupino gli amanti dell’oggettività, buoni solo a cambiar di padrone. Che le nostre potenzialità incrocino più le possibilità del disordine che le formule dell’intelletto. E se il nostro proposito, come affermava Emile Armand, è quello di vivere per vivere – perché la vita, quella vissuta appieno, basta a se stessa e nega radicalmente la quotidiana miseria – dobbiamo sviluppare la capacità di nutrire il nostro spirito alla fonte della distruzione, immaginando e creando spazi con chi da questa prospettiva continua ad essere scosso intimamente.
E’ sul sentiero della vita, che altro non è che una lunga lotta, che possiamo incontrare compagni di giochi. Sulla strada della sovversione di questa realtà dimorano altri ribelli con i quali potersi intrattenere nei modi più fantasiosi e goderecci. E ridere, con gli altri e tra sé, all’ombra delle macerie di ciò che esiste.
Poche sono le questioni sulle quali possiamo vantare certezza. Tra queste, una semplice consapevolezza: non si può essere per la libertà e al contempo strizzare l’occhio all’autorità. E, tanto meno, utilizzare la seconda per arrivare alla prima. E ancora, intrattenersi con chi lo fa perché avere tanti amici è molto meglio che averne pochi o, peggio, che non averne affatto. I nostri piedi continueranno ad indossare una scarpa per volta e a circondarsi di chi non indugerà a sputare sulla ragionevolezza del politico. In fondo, la libertà ha un prezzo elevato. Ma tant’è, non abbiamo una bandiera da esporre al soffio del vento. Vogliamo essere il vento, che esplora i rischi dell’ignoto.
La paura di perdere quelle poche rassicurazioni che la società-galera beffardamente ci garantisce colpisce chiunque prenda sul serio il pensiero di mettere sottosopra questo mondo. Abbandonare tutto (e in qualche caso tutti, se necessario) per lanciarsi nel vuoto è cosa da pazzi. Meglio tenersi saldi alle sbarre che, per quanto sbarre, saranno pur sempre conosciute, più rassicuranti dell’inesplorato. Conosciamo la posta in gioco e – sapete che c’è? – vogliamo essere folli.
[Stramonio, n. 2 – 11/2015]