Sulla necessità d’attaccare
Kairos, journal anarchiste, n. 2 – gennaio 2018
Piuttosto che sognare mattini radiosi, che lamentarmi del fatto che le masse non acquistano coscienza, che aspettare docilmente il prossimo movimento popolare che non arriva, nemmeno lui, preferisco di gran lunga soddisfare le mie pulsioni distruttrici contro tutto ciò che mi opprime e mi spossessa. Non voglio aspettare, nulla, nessuno, soprattutto quando degli amici scontano anni di prigione per essersi rivoltati. Perché agire quando altri insorti marciscono in galera mi fa bene, mentalmente e fisicamente, e so che anche a loro dà un po’ d’energia, nelle loro gabbie oscure. Sabotare le macchine che ti alienano, spaccare i vetri di una banca o di una assicurazione, incendiare un ripetitore, tutto ciò dà una boccata d’aria anche se sono solo (perché, come dice il proverbio, meglio solo che male accompagnato); vale la pena vivere momenti di questo tipo. La rivolta è la migliore terapia, poiché permette di farla finita col ruolo di vittima così spesso ricoperto dagli sfruttati e dagli oppressi, essa permette di mettere dei bastoni nelle ruote di questa società-prigione. È facile rimandare tutto a domani, aspettare che le “condizioni oggettive” siano riunite, prima di partire all’assalto del potere e dei suoi rappresentanti.
Perché “vivere” in ginocchio, in questa società in cui regna la morte, ch’essa sia d’ordine fisico o dello spirito?
Ci sono degli specialisti, veri affossatori dell’anarchismo, che verranno a farti la morale, sputare sul sabotaggio e la violenza insurrezionale, sostenendo che dietro ogni atto di rivolta c’è una manipolazione del potere, finalizzata a reprimere meglio. Se vomitano sugli appelli alla rivolta e all’azione diretta, è perché loro non provano alcuna volontà di disfarsi dei lacci del dominio ed applicano anche agli altri la propria sottomissione all’autorità.
Ce ne sono poi altri che non hanno occhi che per l’alternativa, che credono che coltivando il proprio orto cambieranno il mondo… Peggio, adattano i loro discorsi eco-cittadini, facendosi passare per rivoluzionari. Pensano di mangiare genuino, mentre tutta la terra è avvelenata dalle attività del capitale: rifiuti di ogni tipo (radioattivi, industriali…) sotterrati o scaricati nei fiumi o nelle nappe freatiche, agli ettari di terra riempiti di pesticidi, dalle centrali a carbone ai grandi progetti di cemento utili al capitalismo ed imposti dalla democrazia (nuovo aeroporto o centro commerciale…), dalle linee ad alta tensione alle eoliche, passando per gli inceneritori; questi ciarlatani dei tempi moderni ti vendono un mondo da favola immaginario per mantenerti meglio nella passività.
Il futuro, nessuno sa come sarà, ma nel frattempo puoi crepare da un giorno all’altro, ucciso dagli sbirri o dal lavoro, schiacciato dal peso di una macchina o da quello dell’autorità, che non smette di aumentare la sua presa sulle nostre vite, puoi finire in un ospedale psichiatrico o in galera, oppure continuare a sopravvivere mandando giù un sacco di sostanze, lecite o meno, che ti mantengono in uno stato vegetativo, in questo mondo in cui regna il vuoto. Questo vuoto che è anche e soprattutto l’alienazione dovuta alla tecnologia, al cellulare o ai social network, che costituiscono il nuovo laccio della gente, distruggono ogni relazione, annientano ogni spirito critico. Questa società virtuale è il culto dell’apparenza e della superficialità, la ricerca frenetica dei beni e della merce, l’abbrutimento di massa dovuto ai media e alla TV… Le reti di fibra ottica e di comunicazione sono i pilastri del dominio. Ad ogni sabotaggio delle telecomunicazioni, sono il capitale e lo Stato che ricevono un colpo, è un po’ d’alienazione in meno, fosse anche solo per un breve istante. Dare alle fiamme un ripetitore, vuol dire porre le basi per imparare di nuovo a parlarsi, a scambiare, a vivere. Tagliare le linee telefoniche e i cavi d’internet, vuol dire paralizzare l’economia, attaccare questo mondo di denaro e di consumo che ci distrugge ogni giorno un po’ di più.
Vedo della vita in ogni rivolta, in ogni sampietrino che vola sui guardiani dell’ordine stabilito, in ogni cavo delle comunicazioni che parte in fumo…
Diamo in escandescenza [“pétons des câbles” – letteralmente, “péter” vuol dire spaccare e i “câbles” sono i cavi; NdT] per, infine, reimparare a vivere!
(tradotto da guerresociale)