Prigioni cilene: Lettera del prigioniero in guerra Juan Flores
Chi sono i nostri nemici?
Chi sono i nostri amici?
Si tratta di una questione di grande importanza per la rivoluzione.
(Mao Tze Tung)
Spesso lungo la strada incontriamo persone che la pensano come noi, che ragionano allo stesso modo. Persone che, al di là del dialogo, sono interessate ad un progetto ed al suo sviluppo. Delle volte però, questo dialogo, non si traduce in un qualcosa di concreto, non c’è un elemento di continuità. Il problema più grande è che molte persone non sanno cosa significhi progettare e sviluppare qualcosa in comune accordo. Non ragionare con la propria testa, non avere memoria del passato, non opporsi alla barbarie capitalista e alla cultura borghese spesso conduce all’immobilismo, alla rassegnazione, all’indifferenza, ed ogni tentativo di risveglio equivale allo scavarsi la fossa con le proprie mani.
Determinato e armato delle mie convinzioni, voglio dire che i nostri complici sono e saranno quelli disposti ad attaccare per ottenere quella libertà tanto desiderata, e anche disposti a perderla se necessario. Dobbiamo rifiutarci di vivere sotto l’incertezza e la paura, ed è necessario inasprire il nostro conflitto contro il potere. Ci colpiscono sempre più duramente e il disprezzo che nutrono verso di noi i giudici, i pubblici ministeri e i poliziotti ci toglie il respiro. Disprezziamo l’ideologia del capitale e dobbiamo essere pronti a unirci a quelli che vogliono veramente rovesciare il dominio attuale, e difendere con le unghie e con i denti la possibilità di vivere senza obbedire agli ordini di qualsiasi autorità. Il potere ed i suoi servi dovranno imparare che è costoso difendere i parassiti borghesi.
Ora, dalla mia posizione di prigioniero in guerra, voglio parlare di coloro che in passato ho definito avvoltoi /spazzini della solidarietà: una spregevole minoranza che va spargendo accuse infamanti e pestilenziali contro coloro che vivono e si lanciano con forza all’attacco del potere. L’esperienza mi ha dimostrato che i peggiori oppressori spesso sono proprio coloro che indossano gli abiti dei rivoluzionari e degli anti-autoritari. Queste persone si permettono di emettere giudizi nei confronti di chi non si conforma alla loro “falsa morale”. Si ergono a giudici della moralità sentenziando, condannando, lapidando ed isolando gli individui liberi, e così facendo li separano dalle organizzazioni e dagli spazi di “solidarietà”. Senza voler generalizzare a tutti i costi, mi riferisco a quei miserabili che cercano solo di ottenere dei riconoscimenti, a discapito di coloro che hanno fatto delle proprie vite un costante atto di lotta contro l’esistente.
La solidarietà per me è un atto, un progetto di lotta permanente, purché si basi su sani processi e sane convinzioni.
Mi dissocio categoricamente dalle pratiche e dalle idee antiautoritarie di quelli che distorcono la realtà con i loro atteggiamenti da bravi cittadini, con le loro critiche superflue e i loro discorsi moralisti. Da quelli che dedicano il loro tempo a diffamare quelli di noi che vengono sequestrati e imprigionati dal potere. Costoro non rappresentano la continuità in questa guerra. Non sono la continuità di quelle fratellanze e quelle prassi, che storicamente hanno affrontato il capitalismo ed i suoi stati.
Ehi voi! avvoltoi /spazzini della solidarietà. Cosa succede a quegli obblighi che dite di disprezzare così tanto? Avete rinunciato alla rivolta e all’azione, troppi rischi? Troppo coinvolgimento? I vostri discorsi e le vostre parole sono e saranno sempre pantomime pseudo-rivoluzionarie, e la mia reazione spontanea è il rifiuto di fronte a tanto cinismo.
Mi dichiaro orgoglioso delle mie decisioni e rivendico la mia posizione attraverso la pratica. Lo faccio qui in prigione così come lo facevo prima, durante ogni scenario repressivo. Dopo aver attraversato diversi angoli della prigione, sono finito di nuovo nell’unità speciale di “massima sicurezza”, la struttura disciplinare creata appositamente per farci mettere in ginocchio, soprattutto noi: “i prigionieri della guerra sociale”. Il 29 ottobre, insieme ad altri prigionieri, siamo stati accusati di aver condotto un tentativo di fuga da uno dei moduli della prigione di Colina 2. Il fatto che continuiamo a vivere con dignità ed orgoglio la nostra prigionia ha provocato molta irritazione negli apparati di polizia. Il dispiegamento poliziesco è stato ampio e sono state condotte numerose perquisizioni sia nel carcere che nelle abitazioni circostanti. Gruppi speciali della polizia “antisommossa” e dei “trasferimenti ad alto rischio” ci hanno prelevati rapidamente dalle nostre celle e trasferiti in parte qui, nella sezione di massima sicurezza, mentre altri prigionieri sono stati portati nell’ex penitenziario. La gendarmeria ci accusa di aver costruito un tunnel, cosa che neghiamo categoricamente, e se oggi decido di scrivere queste parole non è per incolparmi o dimostrare la mia innocenza, poiché i termini di colpa o innocenza non fanno parte della mia logica. Mi rifiuto di vivere sotto la paura e l’incertezza, rifiuto l’ideologia del silenzio, questi sono i “rischi del mestiere” che mi assumo come conseguenza dei miei passi.
Ed è stato proprio qui, nella sezione di massima sicurezza, che ho appreso la tragica e triste notizia della morte di Kevin Garrido. Non voglio addentrarmi in inutili dibattiti sulle sue posizioni, peraltro ben chiare fin dall’inizio. Ma nonostante le differenze, voglio affermare che non esiste morte per coloro che affrontano il dominio andando all’offensiva… Anche tu sei stato una preda degli avvoltoi /spazzini. Ti hanno condannato, rinchiuso, isolato, lapidato, con le loro meschine manovre, il loro atteggiamento poliziesco. Lo stesso atteggiamento con cui hanno partecipato al tuo funerale, versando lacrime e scatenando in me una spontanea reazione di disgusto di fronte a tanto cinismo.
I miei più fraterni saluti ai membri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco e della Lotta Rivoluzionaria sequestrati nella prigione di Korydallos /Grecia, ai sovversivi Marcelo Villarroel e Juan Aliste sequestrati nel carcere di massima sicurezza. A Tamara Sol Farías.
Juan Alexis Flores Riquelme
Sezione di massima sicurezza
Prigione di massima sicurezza