Svizzera: Dal carcere di Zurigo
Nota: Il testo che segue è una lettera dell’anarchico arrestato a Zurigo il 29 gennaio 2019.
Cari compagni, cari amici,
È ormai passato un mese da quando, il 29 gennaio, sono stato bloccato da alcuni poliziotti in borghese in auto e da altri due in bici che mi sono piombati addosso, mentre pedalavo in bicicletta dalla Langstrasse in direzione della Josefstrasse.
Tra gli agenti in borghese che erano in bici, ricordo una donna che deve avermi seguito fin da quando ho lasciato il mio appartamento. Successivamente, in compagnia di una quindicina di intrusi, hanno fatto un’ultima visita al mio appartamento, alla mia auto e alla biblioteca anarchica Fermento, dove hanno prelevato ogni disco rigido, materiale cartaceo e quant’altro.
Così ora sono atterrato in questa altra dimensione, costituita da spazi angusti, da mobili fatti in serie, da lunghi corridoi, da sbarre e ancora sbarre e porte d’acciaio, a cui il via vai di chiavi nelle serrature detta il ritmo quotidiano. A poche centinaia di metri da luoghi e persone che mi sono familiari ma lontano dalla violenza di un’intera società, che preferisce il regime dei muri e delle leggi al regno della libertà e della coscienza. All’esterno, è possibile sognare, sperimentare, ribellarci per la dignità negata davanti alle atrocità che sostengono questo mondo e a poco a poco le nostre esperienze e idee formano un tutt’uno e ci chiariscono, col pensiero e l’azione, le condizioni del dominio per liberarcene, rifiutando il catalogo di modelli prestabiliti, compresi quelli definiti anarchici. Un progetto rivoluzionario in cui la teoria e l’azione si intrecciano e si scontrano costantemente si sviluppa in noi e, come per magia, cresciamo arrivando quasi a credere di poter abbracciare il mondo e poi, crack!, in un attimo tutto si riduce a pochi metri quadrati! Ogni anarchico lo sa e lo ha sempre più o meno presente in un angolino della propria testa. E il fatto stesso che esista questa possibilità, che è emblematica e sta alla base di questo ordine sociale, costituisce più di una semplice ragione per non rendere la nostra vita una prigione già fuori dalle mura: quella delle convenzioni e dei pregiudizi, dei crescenti compromessi e delle soddisfazioni superficiali che il giorno dopo ci portano ad agire per costrizione e per la paura di sentirci minuscoli.
Questo progetto rivoluzionario che ogni anarchico sviluppa in sé, continua a progredire anche quando si finisce in prigione. Per favorire la solidarietà rivoluzionaria, e non soltanto antirepressiva o, com’è comprensibile, umana — che è quella che sento anche nei confronti di chiunque langue nelle galere dello Stato —, non dobbiamo sacrificare la nostra iniziativa ai diktat della repressione.
Potremmo essere tentati a concentrarci solo sul manganello e sul carcere. Ma in fondo, repressione è anche sottomettersi a contenuti e rituali simbolici che ci rinchiudono in un ghetto culturale, è rimanere al di fuori della realtà della guerra sociale, offrire soluzioni partecipative per piccoli compromessi, rimproverare e assillare in generale con riprovazioni e informazioni che hanno un’importanza sempre meno reale, perdere il linguaggio con cui formuliamo le nostre idee per renderle più comprensibili a noi stessi e agli altri. Tutto ciò d’altronde contribuisce forse molto più a reprimere una rivolta contro l’ordine vigente e le relazioni instaurate. Penso che dovremmo quanto meno intravedere un legame fra questi problemi.
Per quanto mi riguarda, considerate le circostanze, posso dire di stare bene. Mi rattrista essere stato strappato all’improvviso dai miei cari e dai miei amati sogni. Ma riesco perfettamente a trovare una dimensione dentro di me e attorno a me. Uso il mio tempo anche libero per leggere e scrivere, imparare e studiare. Ci sono alcune persone, qui, con le quali riesco a intendermi. Avrei davvero piacere di ricevere notizie e analisi sugli accadimenti in tutto il mondo, pubblicazioni anarchiche (in buste appropriate) e naturalmente lettere di amici e compagni.
Capisco il tedesco, il francese, l’italiano, l’inglese e un po’ lo spagnolo e il turco. Ovviamente, i miei accusatori partecipano anch’essi alla lettura di ciò che mi viene inviato. Infine, vorrei ringraziare calorosamente tutti coloro che mi sostengono con i mezzi che hanno a disposizione.
Auguro forza e coraggio a voi che siete fuori — ce n’è più bisogno che dentro.
La salute è in voi, come si diceva una volta. Vi abbraccio con tutto il cuore!
1 marzo 2019, prigione di Zurigo
Per scrivergli utilizzare come tramite la Biblioteca anarchica Fermento di Zurigo:
Anarchistische Bibliothek Fermento
Zweierstrasse 42
8005 Zürich
[Switzerland]
e-mail: bibliothek-fermento[at]riseup.net