Titolo: “Sulle vacanze ad Amburgo”: Selfie, disordini e la tirannia delle immagini (09/08/2017)
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Un mese fa iniziava ad Amburgo, in Germania, il vertice del G-20, e con questo le proteste di massa contro lo stesso, con richieste da una gestione più “umana” del capitalismo fino alla distruzione totale di questo sistema per costruire un altro mondo più etico, dove ci sarebbe un posto e rispetto per tutti, dove non esisterebbe repressione o gerarchia, dove la terra sarebbe protetta e dove la sete insaziabile di benefici vacui sui quali si basa questa società sparirebbe dai nostri valori e obiettivi della vita.

Quello che è avvenuto durante i 3 giorni del vertice e delle mobilitazioni potete leggerlo su molti siti, incluso anche questo blog, se cercate tra i post corrispondenti (iniziando dal mese di luglio, per i curiosi), e dato che io, per varie ragioni qui irrilevanti, non potevo andare ad Amburgo (e mi dispiace) non commenterò quello che è successo né entrerò nei dettagli. Di questo hanno parlato e continuano a parlare i compagni che erano là.

A me piacerebbe parlare di un aspetto particolare di quelle mobilitazioni, che credo si produce troppo spesso in questo tipo di contesti e che a me, almeno, pare un problema serio, e inoltre anche mi irrita. Si tratta di quello che si conosce come la “tirannia delle immagini”.

In una società come questa di oggi, lo spettacolo copre tutto. Le nostre vite si trasformano in un traffico compulsivo di immagini, in stereotipi e mercati di identità che alimentano un profilo, una proiezione di noi stessi spesso alterata, fittizia, però con la quale in qualche modo risolviamo le nostre carenze e quelli aspetti della nostra vita reale che non ci piacciono o con i quali non ci sentiamo soddisfatti (invece di cercare di cambiarli, li copriamo con le immagini), allo stesso modo come succede nella maggioranza di reti sociali. Non importa chi sei, ma chi sembri di essere. Gli altri devono vedere sullo schermo una foto che conferma tutto, se non appare in TV o su Internet, non esiste. Così, allo stesso modo come i nuovi ricchi liberali e moderni fotografano i propri lussi e li condividono su Internet così che tutto il mondo conosca il loro stile di vita esclusivo e ammira il loro “successo”, negli ambienti anticapitalisti, antiautoritari, rivoluzionari... si produce, su una base quasi identica, la stessa dittatura dell’apparenza. In mezzo ai disordini, molte persone vogliono il proprio souvenir, la propria foto-ricordo, come quelli che pagano qualche euro in più per avere la foto dell’avventura nel parco divertimenti mentre si trovano a sfrecciare velocissimi su una montagna russa. Le immagini circolano in maniera frenetica, sui social network, sui blog, sulle piattaforme di massa di video e foto, per la gioa della polizia e dei servizi di informazione, e se non hanno arrestato nessuno basterà cercare un po’ su Internet per trovare del succulente materiale fotografico per i loro schedari, mentre se per sfortuna arrestano successivamente una di queste persone basterà controllare il suo cellulare (qualcosa che solitamente fanno quando ti chiudono in una cella e il tuo telefono e i documenti rimangono nelle loro mani) per trovare le prove che confermeranno la presenza di tali persone a tali manifestazioni, dove solo loro e i loro compagni dovevano sapere che c’erano stati, prove che potranno utilizzare al processo. Dall’altra parte, anche i media della stampa ufficiale si danno da fare, con gli attivisti che servono su un piatto d’argento le fotografie perfette per le loro cronache sensazionaliste.

Non capisco la necessità né la finalità di fotografie come queste:

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Cosa vogliono queste persone? Avere un bel ricordo da mostrare ai propri nipoti? Non voglio negare l’importanza di documentare anche a livello fotografico e audiovisivo questo tipo di eventi, perché spesso, se non fosse per le persone appassionate di video che raccolgono e registrano tutto questo, o come parte di collettivi di stampa affini ai movimenti sociali o per conto proprio, non sapremmo molte delle cose che succedono. Però, è importante mantenere una cultura di sicurezza, e soprattutto, tenere presente che fotografando sé stessi non stiamo esponendo solo noi stessi, ma anche altre persone intorno a noi o altri compagni che in quel momento potrebbero prender parte a questi fatti, e che forse non vorrebbero partecipare al vostro feticismo irresponsabile.

E’ importante riflettere su questo e non scivolare in una posizione ambigua o passiva del tipo “che ognuno faccia quel che vuole”. Alcuni compagni prendono sul serio il proprio anonimato, perseguiti e sorvegliati, mentre altri giocano alla rivoluzione tra flash e “selfie”. Tutto è eroismo e pubblicità, estetica, top-model della rivolta, finché la polizia non suona e allora con tutta la tua forza desideri di non aver mai scattato quella maledetta foto...

Per una cultura di sicurezza e responsabilità.
Contro il feticismo dell’immagine e del cappuccio.