Title: Messico: Abbasso la Legge sulla sicurezza interna
Source: via mail
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In lotta permanente contro lo Stato e il suo controllo: Abbasso la legge sulla sicurezza interna!

L’approvazione della Legge sulla sicurezza interna (LSI) in Messico rappresenta un sintomo del bisogno di capitalismo globale di rinnovare le sue riserve di potere e di espansione del suo progresso economico, a vantaggio della società di classe e della sua visione antropocentrica del mondo. In merito alla repressione di espressioni contrarie ai suoi interessi o non favorevoli al dominio globale, accompagnata da espropriazioni e sequestro di terre, venti e acque, da sfruttamento di “risorse energetiche” e di corpi umani e animali, lo Stato sta generando le modifiche di leggi importanti per raggiungere i propri obiettivi. Anche se la LSI è un’espressione latente a livello giuridico di progresso tecnologico industriale mediante il totalitarismo e la militarizzazione del paese o di sua attività solidificata contro le resistenze, perché di fatto l’esercito è stato inviato in missione sociale o nello specifico quasi sempre nei momenti di tensione politica ed economica in Messico, esempi storici in cui emerge questa pratica abbondano:

— 1968, la storica strage di Tlatelolco, dove furono uccisi migliaia di studenti

— caccia ai guerriglieri e comunisti negli anni Sessanta, consolidando pratiche di tortura

— militarizzazione e conflitto armato in Chiapas negli anni Novanta, contro l’insurrezione indigena e zapatista

— è da ricordare un caso poco conosciuto a seguito del terremoto che distrusse la Città del Messico nel 1985, dove per motivi di operazioni di soccorso emersero alla luce tra le macerie della Procura del Distretto Federale diverse carceri segrete dove furono torturate e uccise persone non grate[1]

— il massacro di Acteal nel 1997, dove i militari spararono contro indigeni tzotziles e aprirono la pancia di donne incinte, riempiendole con pietre.

Attualmente, questa tendenza non diminuisce, la violenza perpetrata da forze statali è aumentata, le forze di sicurezza hanno acquisito e aggiornato i propri equipaggiamenti e infrastrutture, hanno esteso la propria sofisticazione ad altri settori delle forze di controllo, addestrando militarmente ex-poliziotti e creando nuovi corpi di polizia, come la gendarmeria, la forza civile, la polizia statale o la polizia militare, dispiegando la marina in certe zone e stringendo patti e alleanze con i narcotrafficanti e con il governo degli Stati Uniti. Precisamente, uno dei patti che ha permesso lo sviluppo quantitativo e qualitativo degli apparati di repressione statale è stata Iniciativa Mérida[2], una misura di collaborazione internazionale contro il crimine organizzato realizzata quando il presidente del Messico era Felipe Calderón e degli Stati Uniti George Bush, un precedente che non può essere tralasciato se tracciamo una linea storica dello stato attuale di controllo e repressione.

Non possiamo tralasciare neanche il fatto che i narcotrafficanti si sono configurati come “soggetto politico nemico” per giustificare la militarizzazione, però da una prospettiva antiautoritaria e aggiungendo a questo la critica antistatale il narcotraffico e la cosiddetta criminalità organizzata non dovrebbero essere considerati dei nemici, cavalcando la visione cittadinista e semplicistica dell’insicurezza, si tratta di gruppi che agiscono all’infuori dell’ambito legale, ma in realtà sono in cerca di potere utilizzando gli stessi strumenti, vie e obiettivi, contribuendo alla stessa maniera al dominio sociale e allo sfruttamento della Terra; non è un caso che per rimanere al potere questi gruppi devono essere legati ai governi, e parteciparvi, servendo da braccio paramilitare o di para-polizia per attaccare le diverse lotte e i suoi partecipanti, incarcerandoli, facendoli sparire o uccidendoli. Una delle tattiche governative più conosciute in Messico è l’attribuire ai ribelli qualsiasi legame con il narcotraffico per perseguire e discreditare le lotte.

La brutalità di repressione statale non è mai diminuita, al contrario, si è mantenuta, e occasionalmente incrementata, come lo dimostrano i seguenti esempi più o meno attuali:

— nel 2006 Messico ha vissuto l’inizio della cosiddetta “guerra contro il narcotraffico e il crimine organizzato”, la quale è servita da pretesto per reprimere, incarcerare o assassinare attivisti sociali di vario genere, che conta fino ad oggi circa 200 mila morti, 39 mila scomparsi e 350 mila sfollati, attribuendo a molti di questi casi qualche legame con la “criminalità organizzata”

— sempre nel 2006, durante l’insurrezione popolare in Oaxaca, le sparizioni e le torture di insorti erano all’ordine del giorno, molti dei scomparsi erano stati trasportati con elicotteri e buttati giù, portati in carceri segrete dove venivano torturati e ammazzati.

— nel 2014 la sparizione e l’assassinio di 43 studenti di Ayotzinapa in Guerrero, caso in cui con diversi strumenti è stata dimostrata la partecipazione dell’esercito nazionale

— nel 2015 a Ostula, Michoacán, i militari apprirono il fuoco contro un posto di blocco di comuneros in risposta all’arresto per un’autodifesa, l’uccisione di un bambino di 12 anni, questa comunità si era organizzata in autodifesa, recuperando le terre monopolizzate dai cacique e narcotrarfficanti[3]

— sempre nel 2015 abbiamo il Caso Narvante, quando sono stati uccisi l’attivista di fotogiornalismo Rubén Espinosa e l’attivista sociale Nadia Vera, assieme ad altre tre persone, in una situazione non molto chiara, dove sono emersi segni di stupro della donna e ferite di proiettile sulle teste delle vittime, per le quali è ritenuto responsabile il governatore di Veracruz, Javier Duarte[4]

— nel 2016 a Huajuapan, in Oaxaca, è stato torturato, investito e infine ucciso dalla polizia il compagno anarco-punk Salvador Olmos García che partecipava alla Radio Comunitaria Tu Un Ñuu Savi e sempre collaborava a diversi progetti autonomi e di solidarietà con diverse cause regionali e relativi al movimento punk/anarchico[5]

— nel 2018 viene riportato che dentro una scuola di polizia a Veracruz venivano praticate tecniche di tortura contro persone sequestrate dalla polizia d’elite e che successivamente venivano portate in uno spazio dove tenevano tigri e coccodrilli per eliminarli, o venivano seppoliti sotto le istallazioni[6]

— sempre nel 2018, nel febbraio, a Santa María Huatulco, Oaxaca, sono stati uccisi da un gruppo di sicari giudiziari 3 membri dell’organizzazione indigena CODEDI, mentre stavano facendo una carovana. Uno dei membri di questa carovana, Abraham Rodríguez, è stato detenuto per 7 anni per il suo coinvolgimento nelle lotte e nell’organizzazione; in questa zona di Oaxaca si sta resistendo da vari anni all’annientamento e alla collaborazione di popoli indigeni, alla distruzione delle sue aree naturali e a all’occupazione di aziende nazionali e straniere per gestire mega-progetti produttivi e industriali[7].

La tecnologia punta sempre al controllo

A tutti questi fatti aggiungiamo i progressi tecnologici in materia di spionaggio e sorveglianza, che lo Stato e i suoi gruppi aziendali hanno utilizzato contro oppositori, attivisti, giornalisti, compreso gli anarchici, la prova di ciò ne abbiamo nel 2016 quando alcuni compagni ricevettero messaggi di spyware sui propri telefoni[8]. Nel 2011 le agenzie federali messicane hanno speso circa 80 milioni di dollari per un programma di spionaggio dell’azienda israeliana Pegasus[9], il quale mediante virus e link falsi accede a computer e ai telefonini per monitorarne l’attività e ottenere informazioni. Il filtraggio di dati personali eseguito da facebook e l’apparizione di Zuckenberg davanti ai tribunali statunitensi non dovrebbero passare inosservati, sono fatti che ci dimostrano la vulnerabilità di questi mezzi. Per le strade l’aumento esponenziale di videosorveglianza continua a darci indicazioni sul futuro del controllo tecnologico a cui ci stiamo avvicinando; per tutta la comodità che ci offrono, queste tecnologie complesse nascono dal Potere, dal capitalismo e dai loro bisogni, e perciò non smettono mai di puntare al controllo e al consumismo. Ecco perché, trovandoci immersi in una realtà di dominio tecnologico, diventa importantissimo per tutti coloro che osano sfidare l’ordine stabilito di aggiornarsi sui meccanismi di sicurezza informatica in questa epoca di Big Brother digitale e/o limitarne l’influenza sulle nostre vite. Speriamo che queste parole non siano nulla di nuovo per i compagni.

Contro lo Stato in sé

In conclusione, lontano da posizioni riformiste che richiedono allo Stato un uso ottimale e non corrotto di forze armate legate alla legalità, che protestano per l’incostituzionalità dei militari sulle strade, per il loro utilizzo unicamente in caso di sovranità nazionale minacciata, tra le altre di questo tipo, noi anarchici dobbiamo rimanere fermi sulle nostre posizioni anti-autoritarie e perciò contro lo Stato e il suo apparato militare, di qualunque colore sia. Il fatto che la LSI approva legalmente mandati o atti giudiziari senza il bisogno di uno specifico provvedimento giudiziario è un fatto che aggrava la situazione totalitaria a cui Messico si sta avvicinando, ma che in realtà era già una pratica storica dello Stato messicano. E’ importante sottolineare che questa situazione, come abbiamo detto precedentemente, è un sintomo locale di una questione globale: un nuovo giro di vite del capitalismo, che non si limita ad una questione meramente amministrativa, se al potere ci sia la sinistra, il centro o la destra; indipendentemente dai propri programmi politici e ideologici, il progetto tecno-industriale possiede una logica immutabile secondo cui gli Stati nazionali attivano le proprie forze armate militari, paramilitari e di polizia quando il mercato lo richiede, e sempre in favore di aziende nazionali e multinazionali, in modo legale o illegale, al fine di realizzare progetti estrattivi per generare più energia (“pulita” o non pulita) e maggior produzione di beni con i quali continuare l’espansione del capitalismo, progressi tecnologici finalizzati all’artificalizzazione della vita e alla progettazione di consumo delle masse e di arricchimento delle cupole; e tra l’altro, con tutto ciò, tenere anche a bada le diverse forze di opposizione che ostacolano in diversi modi i piani del dominio.

Per constatare questi problemi ci basiamo sui fatti: il crescente e selettivo incarceramento, assassinio e torture di attivisti, indigeni e campesinos che difendono mari, boschi, foreste, montagne, deserti e fiumi, e la repressione selettiva contro altri movimenti anti-sistema o sociali; potremmo dire che si tratta di una tendenza a livello mondiale, accompagnata dall’aumento di manifestazioni di carattere razzista, xenofobo, nazionalista, sessista e di diverso tipo di autoritarismi diffusi nella società.

Parlare in generale di attivisti e non solo di compagni anarchici, non significa che appoggiamo le forme e le ideologie da cui si sviluppano le loro forme di lotta, solitamente inquadrate nell’idea di Stato di diritto, dei diritti umani, della costituzionalità o di buon governo, e che perciò vengono molte volte gestite e accettate dallo Stato, limitando la rivolta e le possibilità di autogestione della lotta. Occorre tenere ben presente che la repressione non tocca solo noi anarchici, ma qualunque ostacolo sociale. Ed è per questo che crediamo nel posizionamento permanente contro le dinamiche dell’autorità. Menzionare i diversi episodi e personaggi ci aiuta a seguire una linea storica dello Stato che riafferma e allimenta la nostra posizione, e ci fornisce argomenti reali e fatti concreti per continuare a diffondere ed estendere la critica e la pratica antiautoritaria, preparandoci ad affrontare le nuove condizioni e tenendo sempre presente che indipendentemente dalle trasformazioni dello Stato e riforme di legge, esse possiedono sempre un carattere temporaneo, che in qualsiasi momento possono essere trasgredite, come sempre è stato fatto; gli Stati possiedono un male congenito che è l’ipocrisia tra ciò che dicono e ciò che fanno. Per noi la libertà, l’autonomia, l’autodeterminazione e il rispetto della natura e del selvaggio non si trovano nei codici giuridici, ma nelle nostre mani, nella nostra coscienza e nella nostra volontà di agire. Come ben si dice “Chi fa la legge fa la trappola”.

Messico, giungo 2018.
Chaya Tlilli


[1] www.proceso.com.mx

[2] expansion.mx; www.bbc.com

[3] www.lajornadadeoriente.com.mx

[4] Multihomicidio_de_la_colonia_Narvarte

[5] www.centrodemedioslibres.org

[6] www.alcalorpolitico.com; www.laopinion.net

[7] colectivoautonomomagonista.blogspot.com

[8] es-contrainfo.espiv.net

[9] www.nytimes.com