Title: Lo sviluppo di un intento per giustificare l’ingiustificabile
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“Dato che il numero sta dalla parte di governati, l’unica opzione dei governanti per continuare ad esserlo è l’opinione.” – James Madison

Lo Stato, intrinsecamente, viene istituito per esercitare il potere, e per esercitare il potere (perché il potere si esercita e, come la Storia continua a dimostrare, possiede la propria logica) è obbligato a mantenere l’ordine, e così lo Stato diventa il garante dell’ordine; l’ordine imposto dal potere, l’ordine necessario per far esistere il potere. Esistono modi differenti per mantenere l’ordine, ma i più efficaci sono quelli basati sul bastone e la carota. Secondo questa filosofia, affinché la persona governata si comporti bene, cioè si pieghi ai disegni del potere e mantenga l’ordine, le si deve promettere qualcosa (di materiale, solitamente) che naturalmente mai o difficilmente raggiungerà, e quando si comporta male la si deve punire. Ma nelle forme più sofisticate dell’esercizio di potere (e occorre nuovamente ricordare che il potere viene esercitato soprattutto e in maniera più elaborata ed efficace attraverso l’istituzione di uno Stato), cioè negli autoproclamati Stati di diritto, nelle democrazie, ma anche in molte dittature, non solo l’ordine viene mantenuto con il bastone (e la sua carota), ma viene giustificato anche il bastone contro il disobbediente. Questo avviene perché in queste forme un po’ più sofisticate lo Stato si presenta come un semplice arbitro e garante di convivenza perché, come dice Madison uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, i governanti davanti ai governati presentano in definitiva solo la propria opinione. Per questo motivo lo Stato cercherà sempre di giustificare in qualche modo le sue punizioni, come il padre benevolo che picchia i propri figli per il loro bene, per condurli sulla retta via, come quando chi punisce soffre più dei puniti per aver dovuto ricorrere a tali estreme misure. Si può dire inequivocabilmente che fino ad oggi (e questo può essere seguito dal passato più recente fino ai giorni nostri) il bastone più pesante posseduto dallo Stato, la frusta più valida e letale è la legge antiterrorismo. Però, da dove proviene questa legge?

Tradizionalmente, sin dagli albori dell’istituzione di primi Stati (nella forma embrionale), più di sette mila anni fa, il potere istituito nell’apparato statale per governare la società aveva e ha due tipi di nemici: il nemico esterno, sempre trattato come “barbaro” o “invasore, e il nemico interno, sempre etichettato come “bandito”. Nel XIX secolo lo Stato si era già trasformato in uno Stato liberal-borghese, democratico e rappresentativo in senso politico, e pienamente capitalista in senso economico, e a seguito dell’industrializzazione, la stessa che ha dato stimolo e forma al capitalismo liberale, il potere dell’epoca ha dovuto affrontare diverse rivolte e rivoluzioni operaie, come anche la nascita di grande idee rivoluzionari e di libertà del momento (che più o meno ancora perdurano): il marxismo e l’anarchismo. Per fronteggiare in maniera più efficace, e per evitare che il mantenimento dello status quo provochi una frattura più grande di principi umanisti e liberali che la classe dirigente dice di sostenere e promuovere, viene creata una legge speciale per affrontare il tipo di reati che potrebbero infrangere l’ordine e portare alla pretesa emancipazione e liberazione dell’umanità dallo sfruttamento e dall’oppressione, e dai suoi sfruttatori e oppressori. Questa legge prevedeva un trattamento speciale per coloro che la violavano, come giuridicamente così anche davanti all’oppinione degli oppressi, con uno zelo speciale (più che in altre epoche) di disapprovazione morale verso i refrattari. Nonostante questo trattamento speciale, lo Stato continuava a colpire con il suo bastone chiunque violava la legge a prescindere dal motivo di questa violazione (in genere la diseguaglianza materiale e la sopravvivenza), però con un’attenzione particolare e con un controllo maggiore verso quelli che combattevano lo Stato in un modo chiaro e per motivi politici. In fin dei conti, un ladro cercava solo di sopravvivere, mentre un rivoluzionario o una rivoluzionaria volevano rovesciare il suo regime e i suoi governatori. Quindi, due secoli fa nascono le leggi speciali sistematiche (c’era sempre bisogno di qualche legge speciale per affrontare gli specifici problemi temporanei, sui quali si basa la legge), accompagnate da linciaggio mediatico, che saranno i riferimenti e le linee guida per le posteriori e più moderne leggi antiterrorismo. Le prime che possiamo rintracciare nel tempo sono le leggi contro i luddisti, un movimento organizzato molto eterogeneo con attività basate sulla distruzione di macchinari industriali dei capitalisti e sul rifiuto di questo sistema economico, anche se per motivi diversi (né tutti erano rivoluzionari, né tutti erano politicizzati). A partire da qui e anche senza un’etichetta concreta per i refrattari, al di fuori del solito “bandito” non sempre applicabile, entriamo nel XX secolo dove lo sviluppo è qualitativamente e quantitativamente molto maggiore.

Nel secolo scorso il potere intende combattere i suoi oppositori, nello specifico i nemici interni, distaccandoli dal corpo sociale nel tentativo di isolarli in modo che nessuno si identifichi con i refrattari e possa simpatizzare con loro o emularli. Ed è per questo che li demonizza. Il problema allora passa dall’essere “operai” o “il popolo” ad essere un gruppuscolo sedizioso, misterioso e spietato che dagli ultimi decenni del XIX secolo inizia ad essere catalogato come “terroristi”. Questo passo avviene nello specifico in seguito alla sconfitta del movimento operaio nella Comune di Parigi del 1871, quando questo movimento rivoluzionario si accorge di essere ripetutamente sconfitto militarmente, entrando così passo dopo passo in una nuova fase che, seppure con grandi sconvolgimenti sociali, non è più quella delle grandi rivoluzioni (con l’eccezione storica del periodo anteguerra: la russa del 1917, quella tedesca del 1918-1919, la coreana del 1929... o la strana e tardiva spagnola del 1936), ma bensì delle azioni isolate dalla massa sociale per ritornare a svegliarla per l’intento definitivo.

A partire da allora e durante il tutto il XX secolo lo Stato applica la categoria di terrorista e tutta una serie di leggi speciali ai suoi nemici interni. Ovvio che lo Stato non considera come i suoi unici nemici interni i rivoluzionari o il movimento operaio. A seconda delle epoche gli oppositori di tutti i tipi, inclusi quelli al servizio del potere ma non al governo di turno, sono stati e sono perseguitati, catalogati con la nuova etichetta. Nello stesso secolo, XX, il termine terrorista deve convivere con quello di sovversivo o di “banda armata”, a seconda dell’apparato statale che deve affrontare la sovversione emergente. In genere le dittature, meno alla moda, preferivano termini come “sediziosi” o “sovversivi”, e nelle sue leggi i reati erano gli stessi o di appartenenza a “banda armata”. Le democrazie, sempre con un tocco in più di glamour (non quella spagnola, peraltro retrograda e ottusa), prediligono il “terrorista” e nelle loro leggi sono ben chiare le parole “terrorismo” o “l’organizzazione terrorista”. Nel XXI secolo questa tendenza è già consolidata, in particolare a partire dagli attentati del 2001 negli Stati Uniti, col pretesto di autentici atti di brutalità indiscriminata contro la popolazione perpetrati da apprendisti di Machiavelli dell’autoritarismo religioso o rivoluzionario, o dall’orchestrazione statale (come saperlo), i nuovi nemici interni del presente cercano solo di terrorizzare la popolazione perché nel suo delirio si oppongono alla democrazia (come osano?), la più perfetta delle forme di convivenza civilizzata, e non una semplice e schifosa forma dell’articolazione statale. La democrazia trasforma lo Stato, ulteriormente, in un’entità totalitaria avvolta in un mantello di presunta libertà, che non permette a nessuno di porla in questione, e perciò produce un’ostilità totale tra la popolazione verso i refrattari e i ribelli, con tutto l’enorme apparato mediatico a sua disposizione, ed elabora le corrispondenti leggi speciali.

Oggi invece ogni nemico dello Stato è terrorista, e questo è la legge che viene applicata. Vediamo come si sviluppa. Per restringere un po’ la questione, ci limiteremo allo Stato chiamato Spagna. Vediamo che qui ci sono state diverse leggi antiterrorismo dalla fine del XIX secolo, ma la più significativa differenza rispetto alla legislazione ordinaria risiedeva nella speciale durezza delle pene (che nella legislazione ordinaria naturalmente non erano leggere), e nel fatto che il “terrorista” veniva giudicato dal tribunale militare. Nella seconda repubblica questa disposizione viene abrogata e abolita la pena di morte, però viene creato il tribunale di ordine pubblico per giudicare i crimini politici, gli scioperi e le rivolte. Questo tribunale viene abolito dal fronte popolare nel 1936, ma poco dopo scoppia la guerra.

Le leggi di guerra erano in vigore tra il 1936 e il 1953 (applicate con tutta la durezza che implica il termine), ed è in questo anno che viene elaborata la prima moderna legge antiterrorismo in Spagna. Franco, sempre così innovativo! In questa legge non esisteva il reato di terrorismo di per sé, ma esisteva “l’appartenenza a banda armata”. Per poter essere applicata i requisiti erano: essere una banda (cioè, più di due persone) e possedere armi; come vediamo, i militari e le dittature vengono subito al sodo. Però, il leggero tocco informale per la sua applicazione (una banda di rapinatori può possedere armi, però una rapina non è necessariamente una sovversione di ordine politico-sociale) era il contenuto politico che questa banda avrebbe dovuto avere. Se in quell’epoca un gruppo di 4 “giovani rossi” distribuiva propaganda contro il regime o lanciava una molotov contro una stazione di polizia, per fare un esempio, e venivano arrestati, oltre un sacco di botte che avrebbero ricevuto in galera e oltre ad essere giudicati dal rinato tribunale di ordine pubblico franchista (1962), non sempre dovevano subire in pieno la legge antiterrorismo ed essere condannati per il reato di “banda armata”. Questa legge è quella che rimarrà in vigore, con modifiche negli anni Settanta e nella democrazia, fino al 1995, quando viene creato il cosiddetto codice penale democratico (il quale fino ad allora si basava su una riforma del codice penale del 1973).

Questo entra in vigore nel 1996 e al reato di “appartenenza a banda armata” viene aggiunto “all’organizzazione terrorista”, vale a dire che non occorreva possedere armi per applicare la legge antiterrorismo, che tra l’altro in piena democrazia è in pratica più severa in genere, salvo nel caso specifico non esista le pena di morte, che in dittatura. Inoltre, questo codice riconosce per la prima volta il reato di terrorismo individuale, anche se nell’assenza di banda le pene sono minori.

Nel 2001 questa legge viene inasprita dopo gli attentati alle torri gemelle. Sono gli anni in cui si applica la dottrina, ancora oggi in vigore e perfettamente estrapolabile ed estrapolata, di “tutto è ETA”, quando si è terroristi sia per sequestro di un industriale che per l’incendio di una banca, sia per la distruzione dei vetri di un’agenzia interinale che per la pubblicazione di un giornale che giustifica o addirittura non condanna gli atti menzionati. Logicamente, tutta questa pila risponde un po’ in ritardo alle necessità dello Stato, delle quali alcune erano spegnere gli ultimi tizzoni della lotta operaia, sempre più violenta (soprattutto nel periodo 1987-1994) durante gli ultimi colpi di riconversione industriale (1981-1997), e disattivare il conflitto basco.

Nel 2010 assistiamo ad un nuovo codice penale, applicato nel 2011, con il quale la legge antiterrorismo si applica contro coloro che “sconvolgono in maniera grave e ripetuta la pace pubblica, e cercano di sovvertire l’ordine costituzionale”, ipotizzando una nuovo giro di vite in termini di applicazione e di inasprimento delle pene. Questo succede nel contesto di una certo sconvolgimento sociale come il periodo 2010-2014.

Questo periodo ha visto nascere il fenomeno di 15M e i derivati con tutte le sue particolarità e conseguenze, nel bene (ben poco) e nel male (abbastanza, in tutti i sensi), nel contesto di una crisi e caratterizzato da episodi di certa violenza di strada, ma anche di proteste pacifiche di massa, alcune tremendamente moleste. È stato anche (e di conseguenza) un’enorme discredito democratico ed economico, e che ha visto il decadimento e la cessazione delle attività di ETA (che ha aperto nuovi scenari). Ed è in questi momenti che appare un nuovo codice penale, che cerca di affrontare le nuove sfide.

Il codice penale del 2015 è quello della ley mordaza, ma anche quello della nuova legge antiterrorismo e del patto anti-jihadista (applicabile, ovvio, a molte altre realtà). Si tratta di un codice con il quale la polizia è al contempo giudice, giuria ed esecutore per reati non molto gravi, ma di chiare tinte rivendicative e politiche, nel quale la legge antiterrorismo considera per la prima volta che non sia necessaria la violenza per sovvertire l’ordine costituzionale e/o sconvolgere ripetutamente e gravemente la pace pubblica, e con la quale una sola persona può essere condannata come se lei sola fosse l’intera organizzazione terrorista. Vediamo chiaramente come, partendo dallo stesso concetto, la difesa dell’ordine, dello Stato attraverso la storia è stata la difesa dai suoi nemici, specialmente da quelli interni, per proseguire senza opposizioni il suo progetto di dominio. A tal fine si adatta ai tempi che corrono, attraverso il suo apparato punitivo e mediatico perché soprattutto ha da mantenere lo status quo.

Il potere ha da perpetuarsi (rigenerandosi o mordendo fino ad uccidere se necessario) e perciò è necessario giustificare l’ingiustificabile. Così stanno le cose, amici e amiche, però sì, tutto per il nostro bene, per la sicurezza e l’armonia della nostra pacifica e armoniosa convivenza, tutto ben annodato, giustificando, come summenzionato, l’ingiustificabile. Ma l’ingiustificabile non sono le sue menzogne, né la severità delle sue punizioni, e neanche l’oppressione, la cui punizione per il loro rifiuto cerca di giustificare. L’ingiustificabile è che giorno dopo giorno in pochi levano la propria voce e il proprio pugno contro tale infame rete di sfruttamento e inganno. L’ingiustificabile è che tutto rimane uguale. Perché anche se il bastone è grosso e la carota magra, anche se esiste un bastone e una carota e una mano che lo sostiene, e che segna il percorso che dobbiamo seguire, obbligati o ingannati, la lotta continua ad essere l’unico percorso. E come dissero i classici anarchici “quello che la forza e l’astuzia hanno costruito, la forza e l’astuzia possono distruggere”.


Tratto da: La Ira de Behelial