Titolo: Francia: Incendio di materiali e riflessioni contro quelli/e che li utilizzano
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Ci ricordiamo ancora di essere passati/e per tutte le assemblee, per le strade furiose, i blocchi, le piazze occupate. Ci ricordiamo di esserci buttati/e a capofitto nei manifesti, nei volantini, nei giornali. Eravamo candidi/e, nelle parole e negli incontri, avidi/e ed impazienti di dare battaglia a questo mondo che ci ha visti/e nascere e che ci fa crepare ogni giorno un po’ di più. Nutriti/e a morale di classe, eravamo andati/e all’incontro dei lavoratori e delle lavoratrici. Non erano forse ontologicamente nostri/e alleati/e? Sognavamo di Haymarket Square [piazza di Chicago in cui, il 1 maggio 1886, un presidio per chiedere le 8 ore di lavoro è finito con una sommossa – quattro anarchici vennero impiccati e uno si suicidò per evitare la forca. L’episodio è all’origine della festività del Primo maggio; NdT], mentre per la maggior parte di loro era questione di potere d’acquisto e di una buona pensione. Noi si voleva incendiare, loro volevano lavorare meglio. Eravamo troppo restii/e al lavoro per non stufarci, al contatto con gli/le sfruttati/e.

Questo testo è l’eco lontana degli incendi notturni del 14 e 16 maggio. Sono attacchi contro il lavoro, certo, ma anche contro quelli/e che contribuiscono alla continuazione di tutto ciò.

Saint-Etienne, le 2 del mattino. Ci avviciniamo in silenzio al sito di questo mostro dei lavori pubblici. Il cancello è aperto. Esitiamo, abbiamo paura, ma l’appetito d’azione dissipa presto la nostra apprensione. Entriamo, poi ci separiamo. Ogni partecipante alla spedizione sa quello che deve fare. Sapiente miscela di previsione e d’improvvisazione. Ognuno/a prepara dei veicoli, dell’impresa o di privati, non facciamo distinzioni. Qualcuna lancia il segnale. All’improvviso, alle luci dei riflettori si aggiungono quelle delle fiamme. Ci raduniamo e sprofondiamo nella notte.

Quello che abbiamo distrutto laggiù viene assimilato ai mezzi di produzione. La morale di classe dice che la classe lavoratrice, ed essa sola, può sabotare detti mezzi, nella logica di un rapporto di forza con la classe sfruttatrice. Ad eccezione di qualche episodio luddista, il sabotaggio non ha mai raggiunto delle vere intenzioni ed intensità distruttrici. Quella stessa morale insiste tra l’altro sulla riappropriazione dei mezzi di produzione da parte della classe lavoratrice. Non staremo a chiacchierare di esempi storici, perché ce ne freghiamo. In ogni caso, gli aeroporti, le prigioni o le autostrade del popolo li odiamo. I mezzi di produzione che li rendono possibili non devono conoscere altro che l’annichilimento. E, per armare la nostra risoluzione, non aspetteremo che gli/le sfruttai/e abbiano una rivelazione. La lotta fra le classi é una fregatura, tutte loro si realizzano attraverso il lavoro. Profitti e potere per gli/le uni/e, salari per gli/le altri/e. Una comunanza d’interessi imprescindibili. Cogestioni. E tu vorresti che marciassimo il Primo maggio in mezzo a questa folla che brontola e che striscia! Non, noi siamo furiosi contro il lavoro, perché le sue nocività distruggono le nostre esistenze.

Una bella luna comincia la sua discesa sopra Saint Julien Molin Molette. Oltre che per le caramelle, questo villaggio della zona del Pilat è conosciuto per il progetto di estensione della cava e per l’opposizione locale a questo progetto. Forse questo spiega la forte presenza di telecamere e di riflettori sul sito. Dal basso alla cima, delle schifezze fanno sanguinare la montagna. Penetrando sul posto, rabbrividiamo davanti a questa ferita aperta, verticale. Non potendo curare questo strappo minerale, veniamo per infliggere il massimo danno possibile a macchinari e capanne di cantiere.

Parlare di responsabilità è cosa delicata, ancor di più quando essa diventa individuale. Da parte nostra, cerchiamo di navigare fra le sponde dottrinarie del libero arbitrio e del determinismo assoluto. Quelli/e sfortunatamente naufragati/e sull’una o l’altra riva sono dei buoni fari di segnalazione per orientare la nostra barchetta. Ammettiamo che, in proporzioni molto variabili, l’individuo è sempre responsabile del suo comportamento. Al di là del ruolo che essa gioca per la società, la “forza-lavoro” conserva la sua soggettività e la sua possibilità d’azione, in ogni situazione. E laddove c’è il suo potere, risiede anche la sua responsabilità. Chi si riconosce in queste premesse può cominciare a distogliere lo sguardo dallo Stato e dal capitale e riconoscere le innumerevoli responsabilità ordinarie. Quelli/e che chiudono delle porte. Quelli/e che perquisiscono i corpi. Quelli/e che danno dei voti. Quelli/e che fanno esperimenti in laboratorio. Quelli/e che girano dappertutto per vendere delle bibite. Quelli/e che prescrivono dei medicinali in automatico, quelli/e che dormono con addosso la loro uniforme di soldati, quelli/e che trascinano il carrello della spesa, quelli/e che guidano un camion, quelli/e che vanno a fare sci, quelli/e che installano serrature digitali. Quelli/e che prendono la metro, scivolano per le strade, strisciano in ufficio, tornano dalla fabbrica, si riempiono di birra, schiavizzano la moglie, mangiano al ristorante, seguono la moda, consumano informazioni, si addormentano come per una piccola morte. Prima di mandar giù tre caffè e ricominciare tutto. 8 ore al giorno, 250 giorni all’anno, 40 anni della vita. Per un salario, quelli che sono i responsabili ordinari aggravano la situazione di tutti, attorno a loro, assassinano le loro bellezze fino a che perfino la terra ne piange. Ahimè, i gregari del lavoro non devastano né il loro posto di lavoro né i loro mezzi di produzione. Continueremo quindi a farlo. Non perché è necessario.

Fra due giorni altri veicoli di Vinci dormiranno sull’asfalto. Fra una settimana la cava farà ripartire i suoi macchinari estrattivi. I nostri atti sono inutili quanto le loro conseguenze effimere. E cosa contano gli/le emuli, visto che non ci sarà alcun caos. Noi attacchiamo solo per noi stessi. Per fare e rifare l’esperienza intima del nostro rifiuto del mondo. Le nostre vite acquistano senso e consistenza solo in quelle manciate di secondi.

Alcuni/e rapaci del Rajas


(tradotto da guerresociale)