Naslov: Contro il pressapochismo oscurantista
Podnaslov: Qualche parola sull’arroganza squadrista “queer”, che a Torino va di moda
Izvor: via mail
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A inizio maggio, a Torino veniva organizzata una discussione intorno alla recente pubblicazione Critica al transumanesimo” (AA.VV., Edizioni Nautilus, 2019). Coinvolti – forse anche a causa del defilarsi di altr* soggett* – una compagna redattrice della trasmissione “Macerie su Macerie”, chiamata a intervenire in quanto singola per una critica al postmodernismo, e i redattori della rivista “L’urlo della terra”, tra i quali c’è chi da tempo costruisce la propria critica ecologista in modo estremamente problematico rispetto alle questioni di genere e sessualità.

La pubblicazione “Critica al transumanesimo” veniva stampata due giorni prima della discussione. Durante la settimana antecedente, soggett* facenti parte di “Squeerto – Assemblea transfemminista queer” infestavano un social network con centinaia di messaggi in cui per giorni accusavano svariat* compagn* identificat* imprecisamente come “libertari” in modo estremamente grave: “anti-abortisti” “sessisti” “transfobici” “omofobi” “fascisti”. Facendosi forza del gruppo, questi soggett* si autolegittimavano sostenendo che il libro in questione fosse antiabortista, sessita, transfobico, omofobo. Senza averlo letto e senza nemmeno avere chiaro chi ne fossero gli autori, tanto da confonderli con i redattori de “L’urlo della terra”. Nessuna argomentazione, solo pesanti insulti social, perché – a quanto pare – “il fine giustifica i mezzi”. Quale fosse il fine, resta ancora da capire.

Gli stessi soggett* facenti parte di “Squeerto” giungevano poi compatti alla discussione con interventi e performance spettacolari, decisamente poco puntuali e miranti a far emergere criticità in un libro che nessun* aveva davvero letto. Ne estrapolavano uno stralcio a caso, nel tentativo di svelarne un’intenzionale omofobia, senza rendersi conto che esprimeva esattamente il contrario di ciò che volevano dimostrare. Questo basterebbe a far sorridere, se il tutto non fosse imbevuto di una buona dose di arroganza. Questi soggett* imponevano la propria presa di parola con presunzione e in modo distruttivo di qualunque critica nel merito dei temi di discussione, senza aver idea di cosa stessero parlando, senza conoscere i/le compagn* nei loro differenti posizionamenti espressi nel corso di anni di lotte e dunque senza avere nemmeno chiaro contro chi o che cosa si stessero scagliando; nel tentativo goffo di mettersi al centro, attaccare chiunque in quanto vittime di un supposto eteropatriarcato tendenzialmente incarnato da tutti a parte, evidentemente, loro stessi. Sbandierando con arroganza unicamente il proprio posizionamento di genere e sessuale – come se fosse indicativo di maggiore purezza rispetto al resto dei convenut* – ma silenziando, oscurando e svilendo l’importanza di posizionarsi tanto rispetto ad altre linee di oppressione, per esempio la classe, quanto dentro alle lotte.
Il meccanismo innescato da quest* soggett* “transfemministi queer” è stato quello di censurare ogni forma di dialettica e critica puntuale su questioni alquanto complesse, irrompendo alla cieca prima sui social network e poi fisicamente. Un meccanismo poliziesco, più che politico.

La spettacolarizzazione del pressappochismo è stata poi sancita da un comunicato vittimista[1], forse nel tentativo di creare una spaccatura “frocie” contro “anarchici” all’interno degli spazi. A quanto pare per questi soggett* il definirsi sovversivi emerge unicamente dal loro non ritenersi eteronormat*. Come se per distruggere l’ordine esistente bastassero i propri comportamenti o gusti sessuali, la propria percezione del genere e del sesso e parlare ininterrottamente di sesso proprio e altrui. Va forse ribadito che – in questi tempi storici e a queste latitudini – non c’è molto di rivoluzionario nell’essere froc*. Se c’è una cosa contro cui lottare – in quanto corpi froci – è proprio il modo in cui la norma è iscritta, riprodotta, reificata all’interno del mondo LGBT ed anche queer. La norma e la moda.
La moda di un certo “transfemminismo queer” che forse si riconosce più nell’estetica che nelle lotte, che anzi tenta di indebolire deliberatamente attraverso azioni esasperate, sproporzionate ed espresse attraverso campagne di disinformatja. Il meccanismo infatti è lo stesso delle fake-news di robot che, da differenti identità social, ripetono le stesse accuse e valutazioni approssimative. Si riproducono banali slogan o rimasticature acritiche di discorsi retorici orecchiati malamente, dileggiando compagn* di cui non si conosce la storia, cercando di marginalizzarli con l’intento di sentirsi protagonisti ed erigendo il gruppetto di appartenenza a paladino di una purezza di genere di cui non si sente il bisogno. Come ogni operazione di polizia, si mira in questo modo a distruggere il tessuto connettivo di lotte che localmente sono riuscite finora a tenere insieme realtà spesso molto differenti, autolegittimandosi a vicenda senza argomentazioni e inducendo il sospetto attraverso la ripetizione di accuse infamanti senza un sostrato reale.

Sia chiaro, nessun* qui vuole fare l’apologia di come è stata costruita la discussione della pubblicazione “Critica al transumanesimo”, né dei contenuti del testo, basati su filosofie essenzialiste e dualiste, a partire dal concetto di Natura. L’essenzializzazione della natura – che diviene non contestabile, universale ed univoca – e la dicotomia natura/cultura, si sono affermate con la modernità capitalista come processi di oggettivazione e dominio degl* altr*, colonizzati, “donne”, non-umani... Si tratta di processi culturali legati allo sviluppo materiale del capitalismo come ordine economico-sociale basato sullo sfruttamento differenziale, contro le cui molteplici oppressioni – razzista, sessista, omo-lesbo-transfobica, specista... – la storia è piena di lotte, portate avanti in nome della libertà da soggetti e collettività ribelli, eccentriche, devianti e anormali – umani e non.
Quindi, tanto impostare la propria critica nei termini di una supposta Tecnologia malevola corruttrice di una Natura benevola, quanto farlo, all’opposto, nei termini di una supposta Tecnologia liberatrice dalle oppressioni, significa scorporare i dispositivi tecnologici dai rapporti di dominazione nei quali sono calati. Crediamo invece che unicamente a partire da uno sguardo storicizzato sulle condizioni di esistenza e riproduzione del capitalismo – costantemente basate sull’imposizione di gerarchie di classe, razza, genere... – sia possibile costruire una critica radicale dell’ordine esistente.

È quanto meno provocatorio, poi, l’aver scelto come interlocutori “privilegiati” per la discussione del libro i redattori della rivista “L’Urlo della Terra”, tra cui c’è chi ha pubblicato scritti[2] in cui, paradossalmente, si esprimono criticità nei confronti dell’eteronormatività proprio mentre si costruiscono e riproducono argomentazioni non solo intrise di eterosessismo, ma che possono essere considerate come i pilastri teorici di questa specifica forma di oppressione. Il discorso eteronormativo affonda infatti le sue radici nella dicotomia di genere, che esso continuamente costruisce e conferma con l’aiuto rilevante anche di quella stessa scienza bio-medica che i redattori de “L’Urlo della Terra” apparentemente disprezzano. Tale dicotomia di genere, a sua volta, viene immaginata come costitutiva di una complementarità – tra il maschio e la femmina – finalizzata alla riproduzione biologica e, dunque, sociale. È questa la struttura ideologica che, in occidente, sta dietro alla normalizzazione dell’eterosessualità; medesima impostazione di pensiero che traspare dagli scritti citati, nei quali si esaltano le supposte differenze biologiche tra i sessi, si naturalizza la Donna, Madre, custode del potere della riproduzione, mentre le esperienze di transizione di genere sembrano essere stigmatizzate come una “ossessione con il corpo, un corpo percepito come una gabbia”, in virtù di una non accettazione dei suoi limiti “naturali”.

Riteniamo necessario confliggere contro tutti i meccanismi di essenzializzazione e normalizzazione – che partono sempre dal presupposto di un comune “noi” universale volto a nascondere i rapporti di dominazione – anche e in primo luogo all’interno degli spazi radicali. Ciò non può che partire dal conoscere e (ri)conoscersi nei differenti posizionamenti e storie, nonché dall’essere situati tanto all’interno delle lotte, che rispetto alla violenza che il capitalismo e lo stato – e non solo il patriarcato – producono sui corpi.

Per questo riteniamo che il pressapochismo squadrista di un gruppo “transfemminista queer” che pretende di attraversare indistintamente i social network e gli spazi radicali a suon di slogan, per esibire superiorità invece che posizionarsi, per censurare invece che argomentare, per insultare invece che conoscere, sia una vera rogna da non sottovalutare.
Come conseguenza non secondaria, questo pressapochismo spettacolare, che si vorrebbe egemonico, potrebbe finire per svilire e screditare l’importanza e la tensione etica di tante lotte posizionate contro le oppressioni del genere. Lotte che hanno una storia e un pensiero articolato e profondo, nulla a che vedere con le banalizzazioni che sono risuonate sui social network in queste settimane. È per esempio paradossale che si faccia un gran parlare di “intersezionalità delle lotte” proprio da parte di un’assemblea che, nei fatti, porta avanti un monolitico posizionamento identitario basato sul solo genere e sessualità, nonché sulla produzione di una narrazione iper-sessualizzata dell’esistente: le “altre lotte” sembrano servire o per essere strumentalizzate all’interno del proprio discorso o per essere infamate. Pare qualcun* si stia costruendo una sembianza sovversiva attraverso cui si permette di lanciare accuse gravi a compagn* con storie e posizionamenti ben lontani dall’essenzialismo, tanto in relazione al genere quanto alle tecnologie. Potrebbe succedere ancora.
Nauseate sia dal mondo gay mainstream, sia da quello queer-modaiolo, riteniamo che nessun meccanismo poliziesco di questo tipo possa essere sdoganato nei nostri spazi.

Solidali con Silvia e Anna in sciopero della fame dal 29 maggio e con gli altri prigionieri anarchici che si sono uniti allo sciopero.

alcun* frocie-e-non-solo di Torino
Giugno 2019



[1] AH! SqueerTo! – Assemblea Queer Torino, “sei contro natura”, giugno 2019

[2] Ad esempio: “Ma quale libertà?! Donne, apriamo gli occhi! Contro l’utero in affitto, a pagamento o gratuito, contro la procreazione artificiale dell’umano”, dicembre 2016; “Dalle Moltitudini queer al cyborg. Dall’Umano, post-umano al cyborg”, marzo 2017; “Dove trans-xeno-femminismo, queer e antispecismo incontrano la tecnoscienza – Il cyborg: una metafora che si incarna, un dispositivo di potere e la fine di ogni liberazione”, luglio 2017; Sulle posizioni antiabortiste: Silvia Guerini, “Aborto. Spunti critici di riflessione”, Arkiviu-bibrioteka “T. Serra”, 2005. Posizioni che nel 2009 l’autrice ha pubblicamente ritrattato: “Lettera di Silvia Guerini in merito alla non più diffusione di “Aborto, spunti critici di riflessione”